domenica 31 ottobre 2010

Ana Kapor - Misteri Sublimi di un viaggio












Andria (BA) - dal 31 ottobre al 31 dicembre 2010
Ana Kapor - Misteri Sublimi di un viaggio

CENTRO CULTURALE LE MUSE
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Via Giovanni Giolitti 10 (70031)
+39 0883558136 , +39 0883557119 (fax), +39 3389810995
centro.le.muse@alice.it
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Eventi in corso nei dintorni

Ana Kapor da sempre concentrata su architetture solitarie, dipinge paesaggi metafisici di una bellezza preziosa e raffinata.
orario: giorni feriali ore 18,00 – 21,00 ; festivi ore 10,30 – 13,00; 18,00 – 21,00
(possono variare, verificare sempre via telefono)

vernissage: 31 ottobre 2010. ore 11
catalogo: in mostra
curatori: Rosaria Fabrizio
autori: Ana Kapor
genere: arte contemporanea, personale
email: eventi@lagalleriachevorrei.it
web: www.lagalleriachevorrei.it


ANA KAPOR
MISTERI SUBLIMI DI UN VIAGGIO


Era un giovane bello e intelligente, la vita era stata molto generosa con lui e niente gli mancava. Si mostrava sempre sicuro di sé e tutte le sfide vinte erano oggetto di vanto. Ma in quell’inverno così rigido e pesante nulla era di riparo per lui. Un giorno di quella fredda stagione, camminava ramingo per le vie del centro. Il vento gelido e penetrante soffiava forte, oltrepassava i vestiti, scivolava sulla pelle, si insinuava nelle ossa, fino a ghiacciare l’anima. C'era qualcosa che lo inquietava e lo turbava più del solito. I suoi mille pensieri non riuscivano a consolarlo, né a rispondere alle infinite domande che lo tormentavano.
Incalzò il passo tra le strade, fino a scorgere di sorpresa una viuzza. Gli parve di non averla mai vista prima. Scavò nei meandri della memoria, ma gli appariva come nuova, come sorta magicamente solo per lui, in quel giorno in cui non sapeva dove andare. Imboccò la piccola via e continuò a camminare svelto, come avesse urgenza di arrivare ad una destinazione che pur ignorava esistesse. Ad un tratto, girato l’angolo, passò accanto ad una bottega piccina piccina, di quelle che rammentano altri tempi. L’uscio era minuscolo, ma si intravedeva bene l'interno. Un’immagine repentina destò in maniera del tutto inconsapevole la sua attenzione. Un uomo mingherlino, dalla barba lunga e canuta pari ai suoi capelli era intento a scrivere su un taccuino, assorto in meditazione, curvo sulla scrivania. I suoi vestiti erano logori. Doveva indossarli da molto tempo ormai, eppure l’aspetto era distinto e raffinato. Il buio all’interno della bottega ne celava il contenuto, ma un angolo brillava di luce propria. Appeso alle pareti, come un faro chiaro e fulgente, attirava lo sguardo un quadro dalle piccole dimensioni che racchiudeva uno scenario incantevole. Colori tenui, atmosfera delicata. Non conosceva quel quadro né il luogo remoto che rappresentava, eppure in un colpo solo ogni cosa gli parve familiare.

All’improvviso, una forza misteriosa e sconosciuta lo afferrò per il bavero. Fu spinto, trascinato, risucchiato. Dileguate tutte le sue membra, leggero come l’aria, si ritrovò d’incanto in un mondo altro. Smarrito, s'aggrappò ai suoi pensieri che non vollero dargli spiegazioni. Si guardò intorno stupito per quello che gli stava accadendo e meravigliato di trovarsi in un luogo paradisiaco. Immediatamente la sua incredulità si chetò e la vista di quel luogo così incantato lo rasserenò all’istante. I suoi sensi iniziarono a sussultare. Gli occhi gioivano e il cuore era sereno. Dolci colline mediterranee allietavano il paesaggio, il cielo era terso, l’acqua tanto limpida da rispecchiarsi dentro. In lontananza una fortezza maestosa e austera, dalle linee pur tuttavia delicate ed oniriche, cipressi in filare. La semplicità di quella scena dal sapore medievale era criptica ma idilliaca. Tutto era in perfetto equilibrio, l'armonia era sovrana. Ogni dettaglio al giusto posto.
Provò ad incamminarsi seguendo il percorso delle colline e udì una musica carezzevole, invitante. In lontananza l’eremo pareva chiamarlo e lui rispondergli con una poesia d’altri tempi :

O saldo nido d’aquila, io solo devoto risalgo
a l’alto rifugio regale.
Un vasto regno ascondi ne’ blandi misteri e ne l’ombre:
io viver so nel tuo regno.

Nel mondo tuo mi chiudo, fra i tuoi tricolùnni ellenici;
mi sùscita intorno fantásime
da le tue porte rosee moventi con passo leggero;
parlare con esse saprò.

Forse verranno pàvide figure di vergini bianche
d’amore eternate nel sogno?
Forse verrà la corte in àgil costume leggiadro
già pronta a la caccia al falcone?

O forse paggi pallidi dal trepido cor sospiranti,
o pur cavalieri perduti
in un sogno di gloria, di lor sirventesi al richiamo
verranno in carrozze d’argento? (1)


“Signore, signore cosa desidera?” si sentì di colpo strattonare bruscamente un braccio. Come appena desto, si trovò davanti il vecchio che lo scuoteva. La lingua secca e incollata non riusciva a tradurre i pensieri confusi e intrecciati che gli soverchiavano in testa. “Sta bene signore? Cosa desidera?” ripeté il vecchio che se l’era trovato dinanzi in trance per lunghi minuti. La voce dell’anziano signore era calda, e sebbene affannata, non sembrava affatto turbata dall’evento. Mentre lui era frastornato, colto da capogiri e per la prima volta muto. Lui, lui cultore di dialettica, lui che aveva la frase giusta per ogni occasione, in quel preciso istante, davanti ad un vecchio e ad un piccolo quadro si ritrovava spaesato, smarrito.
“Niente, niente… tutto bene” farfugliò confuso e senza nemmeno salutare andò via.

Passarono lunghi giorni, e la mente del giovane ritornava sovente al quadro. Erano momenti in cui si sentiva sospeso, come se le ore smettessero di colpo di susseguirsi. Una sera tornando a casa, stanco e provato dalle fatiche del giorno, avvertì l’urgente bisogno di ripassare per quel luogo.
“Buona sera! - disse al proprietario della bottega - Posso entrare?” Il vecchio alzò per un attimo lo sguardo. Sembrò accennare un sorriso, come se si fosse aspettato il suo ritorno. “Se vuole…” rispose laconico.
Il giovane allora salì i gradini dell’entrata e senza curarsi di ciò che stava intorno, si indirizzò dritto a quel piccolo quadro appeso sempre alla solita parete. Lo fissò, lo scrutò attentamente. Chinò la testa pensando e sospirando si interrogò. Ma non capiva, non capiva proprio. Fece per voltarsi, fissò il vecchio che continuava a scrivere per nulla scomposto dalla sua presenza e ritornò a guardare. Non si pose più domande, ma si lasciò cullare dal turbinio di sensazioni ed emozioni. Ed ecco che si sentì di nuovo rapito da una forza strana e travolgente e si ritrovò in una delle dimensioni del quadro.
In lontananza il panorama era sublime. Il segreto e il mistero celati dietro quell’isola di pace lo catturavano e gli suggerivano di avvicinarsi, come se fosse attratto da una forza magnetica. L’aria era trasparente e serena e un profumo etereo l’inondava tutta. Gli azzurri del cielo e delle acque avevano un tono così brillante e intenso e la terra ocra rimembrava le calde sponde dell’adriatico. Un’asta era appoggiata all’ingresso del castello e un trabattello le faceva da contrappunto. La sua anima smise di altalenare e si pose nel centro esatto dove si ha la giusta prospettiva delle cose. L’unicità del soggetto catturava e il suo desiderio più ambito era quello di entrarci. D’un tratto qualcuno recitò per lui :
“La vita è un'isola in un oceano di solitudine: le sue scogliere sono le speranze, i suoi alberi sono i sogni, i suoi fiori sono la vita solitaria, i suoi ruscelli sono la sete. La vostra vita, uomini, miei simili, è un'isola, distaccata da ogni altra isola. Non importa quante siano le navi che lasciano le vostre spiagge per altri climi, non importa quante siano le flotte che toccano le vostre coste: rimanete isole, ognuna per proprio conto, a soffrire le trafitture della solitudine e sospirare la felicità.[…]
La tua vita, fratello mio, è una dimora solitaria, separata dalle dimore degli altri uomini. E' una casa nel cui interno non può spingersi lo sguardo del vicino. […]La vita del tuo spirito, fratello mio, è avvolta dalla solitudine; se non fosse per questa solitudine, tu non saresti tu, e io non sarei io. Non fosse per questa solitudine, crederei forse, udendo la tua voce, di sentire la mia stessa voce; vedendo il tuo volto, crederei di vedere me stesso in uno specchio.” (2)


Di colpo avvertì di essere ritornato nel suo mondo, con accanto il vecchio signore.
“Cosa le posso dare per avere in cambio questo capolavoro di Ana Kapor?” gli chiese repentino il giovane.
“Niente!” rispose il vecchio.
“Ma io sono disposto a darle tutto ciò che desidera.” continuò imperterrito il giovane.
“Lo ho già!” rispose secco l’altro e chinato il capo per nulla scosso dalla richiesta continuò imperterrito a vergare quelle interminabili pagine bianche con una scrittura indecifrabile.
Il giovane allora incredulo e furente, girò i tacchi senza proferire parola alcuna ed andò via stizzito. “Come si può rifiutare una simile offerta!!!” penso tra sé.

Dopo tale affronto il giovane non volle più passare per quelle strade e continuò la sua vita di sempre. Passarono i giorni, i mesi, gli anni e le stagioni si susseguivano come sempre. Eppure qualcosa gli mancava. Nulla di particolarmente grave era accaduto nella sua vita, eppure l’infelicità e l’insoddisfazione lo assalivano sovente. Dubbi, incertezze sul cammino da seguire. Uno strano senso di angoscia lo pervadeva e solo il ricordo del quadro in qualche modo leniva il suo malessere. Cercava di ricordarsi i dettagli, di rivivere le sensazioni, ma soprattutto di comprendere la fonte della magia di quel quadro. Iniziò a fare ricerche, a collezionare frammenti che gli permettessero di comprendere. Ma non trovava risposta e un giorno abbandonato su una panchina, gli arrivò da lontano l’eco di una canzone :


[…] Resisterò andando incontro al piacere,
ascoltando il respiro, trattenendo il calore
su un'altra forma d'onda intonerò il mio pensiero.
Ho camminato girando a vuoto
senza nessuna direzione,
mi tiene immobile nei limiti
l'ossessione dell'Io.

Mi ritrovai seduto su una panchina
al sole di febbraio
un magico pomeriggio dai riflessi d'oro
e mi svegliai con l'aria di pioggia recente
che aveva lasciato frammenti di gioia. (3)


Quel giorno il cuore gli piangeva forte, decise allora di passare per la strada che per così tanti anni aveva disertato.
Entrò nella viuzza. Vide la bottega, scrutò dentro. La scrivania solitaria. Vuota era anche la bottega e spoglia. Alle pareti non più il quadro che tanto l’aveva ossessionato. Distante dall’ingresso, attese un po’. Poi avvertì all’interno un movimento. Una creatura meravigliosa, una fanciulla bellissima dal viso candido e dai lunghi capelli corvini riponeva delicatamente in una cassapanca le poche suppellettili ancora presenti.
Il giovane di una volta, incuriosito si avvicinò, si fece coraggio ed entrò.
“Desidera?” disse la ragazza con voce angelica.
“Cerco….” rispose lui titubante.
“Mio nonno è partito per il suo lungo viaggio” sorrise la fanciulla e ritornò a sbrigare le sue faccende.
Il giovane le girò le spalle e fece per andarsene, quando si sentì chiamare. Si voltò e vide la ragazza che aveva un pacchetto tra le mani.
“Questo è per lei! E’ da parte di mio nonno.” esclamò.
Attonito lui la guardò e parve dirle che si sbagliava, che quel dono non poteva essere per lui. Lei sorrise di nuovo e riprese sottovoce : “ Mio nonno, prima di addormentarsi per sempre, mi ha detto che sarebbe passato in bottega qualcuno con una luce particolare nello sguardo, che l’avrei riconosciuto di sicuro e gli avrei dovuto dare questo.” Gli porse dolcemente il dono e lui se ne andò incredulo, sconcertato.

La curiosità era tanta, ma aveva imparato ad assaporare ogni istante e preferì scartare il regalo a casa sua, nel suo rifugio personale, nella sua fortezza solitaria. E quale contentezza quando ne scoprì finalmente il contenuto.
Aveva lasciato un angolo vuoto alle pareti di casa sua e in quel posto preciso appese il quadro, oggetto dei suoi desideri, dono inatteso, mistero da celare, verità nascosta. Rimase immobile davanti ad esso per un tempo indefinito.
Stanco e felice si adagiò sul divano con il quadro davanti. Si lasciò andare, pose la testa sul bracciolo, sorrise e si addormentò.
Una musica soave lo blandiva. Finalmente poté risentire quella dolce atmosfera. Era dentro il rifugio segreto. Si sentì chiamare per nome ed udì:

L'immagine nella mente
si fa roccia, la roccia mattone,
e il mattone cerchio, quadrato...
ottagono: forma che muta
veglia sul cielo e sulla terra.
Due ali, un petalo di vento,
un sorriso: il più bello.
Creatura che di sola notte vestita
leggera si aggroviglia a teneri pensieri.
Batte quest'anima più limpida
del chiarore lunare...
pioggia di flebili sussurri...
guardiana senza respiro.
Una stella muore in quegli occhi,
mentre tutto suona a silenzio. (4)

Da lontano, a far capolino dietro la balaustra, una barba folta, lunga e canuta.

NOTE

Nota 1. Frammento di una delle liriche di Pasquale Cáfaro (Andria, 1876 – Andria, 1970) dedicate a Castel del Monte dal titolo L’attesa. Tratto da “Pasquale Cáfaro L’uomo, il poeta, lo storico Raccolta di versi e scritti”, promossa dal Rotary Club di Trani e curata da Pietro Petrarolo.
Edizione fuori commercio realizzata dalla Banca Popolare Andriese, 1985”.

Nota 2. Stralcio di La Vita tratto da “La Voce del Maestro”, scritto da Khalil Gibran (Bsharri, Libano1883 – New York 1931).

Nota 3. Frammento della canzone di Franco Battiato dal titolo Fortezza Bastiani, presente nell’album “X Stratagemmi” del 2004.

Nota 4. La poesia, intitolata Sul Mutuo Silenzio, è stata scritta nel marzo 2010 dal poeta andriese Francesco Di Niccolo. Il poeta ha voluto dedicare ad Ana Kapor queste soavi parole, ispirato da una delle sue rappresentazione su Castel del Monte, fortezza che la Kapor ha dipinto da sempre, senza averla mai veduta, come richiamata da un mistero atavico, lo stesso che avvolge il castello e lo avvolgerà nei secoli perenni. Con questa mostra a lei dedica l’artista ha l’occasione finalmente di avvicinarsi al suo castello tanto desiderato e sognato.


sabato 30 ottobre 2010

Ilaria Margutti - Tr-amando.Il filo dell’imperfetto

Bitonto (BA) - dal 30 ottobre al 14 novembre 2010
Ilaria Margutti - Tr-amando.Il filo dell’imperfetto
















ROGADEO 39
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Via Vincenzo Rogadeo 39 (70032)
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Eventi in corso nei dintorni

Il confine è la pelle. Quella cerniera labile e sottile fra interno ed esterno. Tra dolore e guarigione. L’artista stimola con il ricamo pratiche di contatto, di attraversamento di confini, di scambio; riporta alla memoria le sue ferite, una ad una, ritraendo l’atto del risanamento come momento di purificazione dal dolore.
orario: mar-ven 18-20, sab-dom 19-21
(possono variare, verificare sempre via telefono)

vernissage: 30 ottobre 2010.
autori: Ilaria Margutti
patrocini: dal Ministero della Gioventù e dal Comune di Bitonto,
Assessorato alla Cultura e alle Politiche giovanili
note: In occasione della Terza edizione del Bitonto Art Festival, festival delle arti
giovanili
genere: arte contemporanea, personale
email: info@artsob.it
web: www.artsob.it

In occasione della Terza edizione del Bitonto Art Festival, festival delle arti
giovanili patrocinato dal Ministero della Gioventù e dal Comune di Bitonto,
Assessorato alla Cultura e alle Politiche giovanili, il collettivo curatoriale
ArtSOB, Lara Carbonara e Lucrezia Naglieri, presentano la personale
dell’artista Ilaria Margutti, Tr-amando. Il filo dell’imperfetto.

Orari: mar-ven 18-20, sab-dom 19-21
Biglietti: Ingresso libero
Vernissage: 30 ottobre ore 20.00
Curatori: Lara Carbonara e Lucrezia Naglieri
Info 3336135447, 3382346161
Autori: Ilaria Margutti

In occasione della Terza edizione del Bitonto Art Festival, festival delle arti
giovanili patrocinato dal Ministero della Gioventù e dal Comune di Bitonto,
Assessorato alla Cultura e alle Politiche giovanili, il collettivo curatoriale
ArtSOB, Lara Carbonara e Lucrezia Naglieri, presentano la personale
dell’artista Ilaria Margutti, Tr-amando. Il filo dell’imperfetto.

Una mano salda. Un ago ostinato, deciso. Un filo che pende giù dalle tele. E le
dita ad indicargli i confini da ridisegnare. Tele ricamate, ferite ricucite,
frammenti di vita, tessitura di un dolore impenetrabile, Ilaria Margutti
sottrae alla storia il tempo, facendo diventare assolute le ferite delle donne
da lei ritratte. Un gesto antico, ripetuto, una litania sommessa e silenziosa,
tenace e spietata nel suo intento, sensuale ed evocativa nella sua
inquietudine.
Tessere, ricamare, rammendare, cucire sono tutte ‘azioni’ simbolicamente legate
alla ‘creazione’, al generare della vita dall’attesa.
L'ago diviene strumento della ‘creazione’. "L'ago è un medium, un mistero, una
realtà, un ermafrodita, un barometro, un momento, e uno zen: non lascia tracce
e alla fine scompare. L’unica traccia è la connessione che ha realizzato” (Kim
Sooja). È pungente, serve a ferire, come pure a ricucire, rammendare,
ricostruire le linee della propria esistenza.
I corpi si contorcono, cieche e ostinate le mani tastano la pelle, ne
riconoscono gli orli, ne imprimono i solchi, ne rammendano le pieghe. Donne
instancabili compongono e definiscono le loro forme, percorrono cavità e
sporgenze, attraversano bocca e ciglia, ginocchia e ombelichi, seni e unghie.
L’artista non rimargina del tutto, ma attraversa le fratture della carne per
trasfigurare le sue tele in uno ‘stare presso di sé’, una cicatrice in cui
rinchiudersi e avere pace.
Il confine è la pelle. Quella cerniera labile e sottile fra interno ed esterno.
Tra dolore e guarigione. L’artista stimola con il ricamo pratiche di contatto,
di attraversamento di confini, di scambio; riporta alla memoria le sue ferite,
una ad una, ritraendo l’atto del risanamento come momento di purificazione dal
dolore. Mettersi a nudo in un rituale di guarigione, una intimità rivista in
una nuova presa di coscienza, una appartenenza alla memoria resa tattile e
tangibile in un nuovo contesto di intersezione tra sensibilità individuale e
sensibilità collettiva. La pelle. Un indumento scarnificato senza fretta da una
solitudine troppo rumorosa. Il mondo della donna, musa e schiava insieme,
immolato nella profanazione del corpo.
E il corpo stesso, abusato dal dolore, diventa stoffa, mostrando trama e ordito
della sua identità; la tessitura diventa il momento della conservazione dopo la
trasformazione.
Ric-amare diviene un atto d’amore, verso se stessi.
Prendi, srotola, segui la linea che il cotone fa sulla mia pelle, china il capo
come fa l’ago, tienimi la mano, stretti i lembi, trattieni l’assenza, distendi
le pieghe, ricuci le crepe. Abbi cura di me, cerca la mia pelle lacerata,
dimentica le ossessioni, possiedi i ricordi, strappali dalle ginocchia,
infilali in questa pancia abitata, smaglia questi fianchi stanchi, penetra le
carni aperte, infilza questi seni vuoti, pungi queste mani avide... è il corpo
o l’anima?
(Lara Carbonara, Lucrezia Naglieri)


L’artista condurrà, il 30 Ottobre, un workshop sulla memoria tattile, per la
realizzazione del ‘Catalogo inutile dell’esistenza’, che raccoglie ricordi,
segni, storie della gente in forma del tutto anonima.


Ilaria Margutti

Nata a Modena, si diploma dapprima all’istituto d’arte di Sansepolcro tessitura
e stampa su stoffa e Urbino, in disegno animato, successivamente all’accademia
di belle arti di Firenze.
Senza mai abbandonare l’interesse per la pittura, nel 2004 intraprende la
carriera di insegnante di disegno e storia dell’arte al liceo scientifico. Ora
insegna Disegno e Storia dell’Arte al Liceo scientifico di Sansepolcro dove
vive e lavora.
Ha collaborato con Wannabee Gallery, Milano, Janinebeangallery, Berlino, MLB
home gallery, Ferrara, Zerouno, Barletta, Galleria911, La Spezia, Kairos,
Catanzaro, Bontadosi Art Gallery Montefalco (PG).









venerdì 29 ottobre 2010

Francesco Sena - Tempo di cenere














Salerno - dal 29 ottobre al 4 dicembre 2010
Francesco Sena - Tempo di cenere

GALLERIA PAOLA VERRENGIA
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Via Fieravecchia 34 (84122)
+39 089241925 , +39 089241925 (fax)
galleriaverrengia@tin.it
www.galleriaverrengia.it
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Eventi in corso nei dintorni

In mostra una scultura e una serie di opere di cera su tavola di grandi dimensioni. L’artista privilegia come materiale nel suo lavoro la cera che assume un valore di memoria da cui nascono immagini pluridimensionali dai colori artificiali più vicini a bassorilievi che a quadri.
orario: da lunedì a venerdì 16.30–20.30; sabato 10.30–13; 17–21

(possono variare, verificare sempre via telefono)
biglietti: free admittance
vernissage: 29 ottobre 2010. ore 19
curatori: Alessandro Demma
autori: Francesco Sena
genere: arte contemporanea, personale



Tempo di cenere è il titolo della mostra che la Galleria Paola Verrengia dedica a Francesco Sena, artista torinese, tra i protagonisti dell’arte contemporanea italiana e internazionale.

In mostra una scultura e una serie di opere di cera su tavola di grandi dimensioni.
L’artista privilegia come materiale nel suo lavoro la cera che assume un valore di memoria da cui nascono immagini pluridimensionali dai colori artificiali più vicini a bassorilievi che a quadri. Nelle opere in mostra elementi essenziali sono il corpo, il paesaggio, il bianco, il nero, la luce e il buio; un “tempo di cenere” che l’artista torinese cattura, imprigiona, immobilizza sotto la cera. La realtà, catturata attraverso la fotografia, viene semplificata e distorta attraverso la manipolazione e la trasposizione sul legno operata da Sena. Cera e plastilina creano una stratificazione che come una nebbia avvolge le figure e nasconde all’osservatore la percezione immediata di ciò che vede. Il percorso espositivo presenta immagini in cui l’artista combina, come in un sogno, figure animali, paesaggi e se stesso, per creare visioni che, come ha sottolineato il curatore della mostra Alessandro Demma,“la tempesta di cenere rende incerte, lontane, irraggiungibili.”
Francesco Sena evoca uno spazio immobile, congelato, onirico in cui l’evento è già accaduto, un “tempo di cenere”, di “apparizioni fantomatiche” (Lorand Hegyi), che accompagnano lo spettatore in un mondo incantato, fiabesco, enigmatico.


Francesco Sena nato ad Avellino nel 1966, vive e lavora a Torino. Tra le numerose mostre personali e le rassegne internazionali cui ha partecipato si segnalano: Di mille rivoli, MAM Mario Mauroner Contemporary Art, Vienna, 2010; Attraversami in 13 secondi, (a cura di G. Serisi) Galleria GAS, Torino, 2006; Punching ball, (a cura di E. Volpato) Galleria d’Arte moderna, Torino, 2001; Eroi Eroine. Iconologia e simulacro, (a cura di A. Demma) Castello di Rivalta di Torino, 2010; Fragile - Terres d’empathie (a cura di L. Hegyi) Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne, Metropoli Daejeon Museum of Art, Korea, Palazzo Falconieri Roma, 2009; Mediations, (a cura di L. Hegyi), Biennale di Poznan, Polonia, 2008; Experimenta - Collezione Farnesina, Palazzo della Farnesina, Roma, 2008; Oltre i confini del corpo,
(a cura di M. Vescovo) Fabrika Project, Mosca 2008; Natura e metamorfosi, (a cura di M. Vescovo) Urban Planning Exhibition Center, Shanghai,Beijing Creative Space Art Center, Pechino,2006.


Danilo Correale / Tim Rollins

Napoli - dal 29 ottobre al 22 dicembre 2010
Danilo Correale / Tim Rollins

GALLERIA RAUCCI/SANTAMARIA
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Corso Amedeo Di Savoia Duca D'Aosta 190 (80136)
+39 0817443645 , +39 0817442407 (fax)
info@raucciesantamaria.com
www.raucciesantamaria.com
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Eventi in corso nei dintorni

“Mosh Pit Control” è la prima mostra personale di Danilo Correale (Napoli 1982 – vive e lavora tra Napoli e Berlino) presso la galleria Raucci/Santamaria di Napoli. Riscatto ed emancipazione sociale, arte e creatività. Ogni opera di Tim Rollins (Pittsfield, Maine, USA 1955) e dei suoi K.O.S. è un gesto di sopravvivenza all’ignoranza, all’indifferenza, all’identità negata.
orario: da martedì a venerdì ore 11-13.30 e 15-18.30
(possono variare, verificare sempre via telefono)

biglietti: free admittance
vernissage: 29 ottobre 2010. dalle ore 19.00 alle 21.30
autori: Danilo Correale
note: Gallery A: “Mosh Pit Control” – Danilo Correale. Gallery B: Tim Rollins and K.O.S.
genere: arte contemporanea, personale

Gallery A: “Mosh Pit Control” – Danilo Correale Inaugurazione venerdi 29 ottobre 2010 – dalle 19 alle 21,30 Dal 29 ottobre al 22 dicembre 2010
“Mosh Pit Control” è la prima mostra personale di Danilo Correale (Napoli 1982 – vive e lavora tra Napoli e Berlino) presso la galleria Raucci/Santamaria di Napoli. Il Mosh Pit, nell’ambito dei concerti HardCore ed Heavy metal, è un ballo spontaneo, spesso al limite della violenza, fatto di salti e spintoni. Una danza liberatoria che ogni protagonista vive come soggetto attivo e passivo allo stesso tempo: il controllo dei propri movimenti è pressoché nullo, poiché si è travolti da un’onda provocata dagli spostamenti della folla. Ciò che rimane dopo pochi minuti all'interno di un Mosh Pit è il sudore, l'affanno, qualche livido e la consapevolezza che tutti i presenti si trovino nello stesso stato.
Uno stato di apnea e contaminazione subliminale che rispecchia, secondo l’analisi di Correale, le dinamiche di raffigurazione degli eventi disastrosi: situazioni di emergenza costante che oggi vengono contagiate al punto da investire l’intero sistema delle relazioni. Tale stato di crisi colpisce in particolare i dispositivi legati alla rappresentazione.
Le opere in mostra analizzano quella che è una percezione mediata, sottolineando il confine sempre più labile che separa oggettività e simulazione, controllo e necessità. Partendo da un’immagine fotografica tratta dal film “Terremoto” del 1974 (pellicola in cui per la prima volta l’uso dello slogan “sentirete ciò che vedrete” definiva l’utilizzo della tecnica del “sensurround”) e passando per la sintomatica amnesia collettiva verso l’immediato passato, fino ad arrivare all’estetica del disastro, l’artista traccia le linee per una riscrittura e reinterpretazione del metodo con cui si tende alla rappresentazione del reale e dei sistemi che lo regolano. Tecnologia della riproduzione, memoria collettiva e ambiguità delle immagini, sottintendono una critica ad un’estetica sempre più “fictionalizzata”. Questi temi diventano il fulcro della mostra in cui Correale presenta una nuova serie di opere: fotografie, sculture ed installazioni che, attingendo da un archivio di estrazione popolare, instaurano un nuovo rapporto dialettico tra oggetto e soggetto, tra riproduzione e comprensione. La ricerca di una rappresentazione e di un linguaggio che ridetermini lo statuto delle immagini e della loro distribuzione, senza che il loro attributo significativo sia dominante, ridistribuisce la possibilità democratica nello spettatore di poterle analizzare senza essere schiacciati dalla loro incombente presenza. Elementi che, messi in una relazione osmotica, creano frizione tra di loro e si contaminano, proprio come nel Mosh Pit.
Un’esposizione che seppur dal carattere ludico conserva un’analisi precisa di quelle che sono le più evidenti mistificazioni legate al metodo della rappresentazione. Sebbene presentato come un corpus progettuale unitario, i lavori riproducono differenti frammenti di un unico scenario. Un fitto diagramma di connessioni tra icone del passato e nuovi falsi miti, tra immagini rarefatte ed oggetti, specchio di una realtà sempre più confusa con la sua messa in scena.


Gallery B: Tim Rollins and K.O.S.


Inaugurazione venerdi 29 ottobre 2010 – dalle 19 alle 21,30
Dal 29 ottobre al 22 dicembre 2010



"Qualunque sia il Bene verso il quale un uomo ambisca,
lascia che volga lo sguardo verso i cieli e i mondi;
si apre dinanzi ai lui un’immagine, un libro,
uno specchio in cui egli può scorgere, leggere e contemplare l'impronta"
Giordano Bruno, DE IMMENSO



Riscatto ed emancipazione sociale, arte e creatività. Ogni opera di Tim Rollins (Pittsfield, Maine, USA 1955) e dei suoi K.O.S. è un gesto di sopravvivenza all’ignoranza, all’indifferenza, all’identità negata. Il risultato di una sfida iniziata nei primi anni ’80, quando un giovane artista offrì un’alternativa ad un gruppo di ragazzi provenienti dal violento e disagiato Bronx newyorkese. A muovere Rollins era la convinzione di poter combattere l’aggressività con la poesia di Dante, insegnare la tolleranza attraverso i sermoni di Martin Luther King, liberare le emozioni con l’ascolto dell’armonia di Schubert.
Un’arte basata sulla lettura di grandi classici della letteratura e sulle sensazioni che l’immaginazione inespressa e le energie soffocate riescono ad evocare. Le catartiche creazioni di Rollins e dei suoi Kids of Survivals, Ragazzi della Sopravvivenza, prendono forma sulla carta: i fogli delle opere lette insieme o gli spartiti musicali, incollati sulla tela, diventano il supporto su cui lavorare; onde di parole e note che interagiscono con interventi grafici e pittorici, traduzioni visive di un contenuto emozionale. La consonanza tra testo e quadro, evocativa e non didascalica, si risolve in un perfetto equilibrio formale: un riemergere di sensazioni, di raffinati ricami di pensiero in cui il concetto di compartecipazione si sostituisce all’idea di individualità. La salda convinzione che il lavoro di gruppo sia un valore aggiunto, rarità in una società che esalta l’egoismo, permea di significati maggiori la lettura delle parole del filosofo campano Giordano Bruno (1548 - 1600), libero pensatore bruciato sul rogo dell’Inquisizione per eresia.
Per la nuova personale nella Galleria Raucci/Santamaria verranno infatti presentate sei nuove tele ispirate a tre dei suoi più apprezzati poemi in latino: De Minimo, De Monade, De Immenso. In questi scritti Bruno sostiene l'infinità dell'universo, l'animismo di tutta la materia, la consistenza e l’incommensurabilità dello Spirito, la teoria dello "specchio di Dio".
Utilizzando gli elementi più abbondanti ed essenziali del pianeta - alluminio, ossigeno e silicio - Rollins ed i K.O.S. hanno ricoperto le pagine fac-simile dei libri con un nuovo colore argenteo composto da pigmenti chimici, realizzando un unico campo di vernice riflettente. Superfici specchianti poi adornate da gocce color argento, cadute delicatamente da nubi gassose ottenute spruzzando vernici spray in aria, in corrispondenza della tela. I dipinti provano a rievocare l’immagine di un universo infinito e brillante, microcosmi in cui il corpo e lo spazio collassano e si espandono simultaneamente, in un flusso perpetuo in cui – secondo le parole di Bruno - “il minimo è anche il massimo”.
Il pensiero panteista, etico e laico del filosofo assume le forme e la luce delle costellazioni, tutto il mistero della vita dell’universo è condensato e racchiuso in una pioggia d’argento.


Installazione di Bill Viola per il progetto Incontri con Caravaggio. A Napoli

Bill Viola Per Capodimonte

dal 30 ottobre 2010 | museo di capodimonte | napoli


Nell'ambito del più ampio progetto Incontri con Caravaggio - che già ha riscosso un notevole successo con gli Itinerari caravaggeschi in città e le performances teatrali a Capodimonte, durante i mesi di luglio e agosto, e che per l'autunno prevede un ciclo di incontri, con personalità di rilevanza internazionale in tutti i campi della cultura, invitate a confrontarsi in maniera originale con la figura del grande maestro lombardo- si inserisce il progetto che ha come protagonista Bill Viola, uno degli artisti contemporanei più significativi nel campo della video arte, chiamato a Napoli per la prima volta, a far dialogare la sua sensibilità contemporanea con l'esperienza caravaggesca, di cui Capodimonte custodisce una delle testimonianze più rilevanti della sua produzione più avanzata, la celebre Flagellazione.

L'installazione di Bill Viola - presentata negli spazi della Sala Causa del Museo, la cui particolare conformazione architettonica ha sempre garantito effetti di grande suggestione - proporrà sei video di forte incisività, e mai presentati a Napoli, tesi a mettere in luce le tematiche più ricorrenti dell'artista americano in una sorta di dialogo a distanza con la sensibilità caravaggesca così diversa.

L'artista americano, che è stato fortemente influenzato dall'arte italiana, si è poi orientato verso una profonda riflessione sulla vita e sulla morte, sul dolore e sulla speranza.

Il progetto, si svolge nell'ambito delle manifestazioni per il quarto centenario della morte di Caravaggio, è stato promosso dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico, Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Napoli e la realizzazione si è resa possibile per il diretto coinvolgimento della Regione Campania - Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali grazie al co-finanziamento dell'Unione Europea POR- FESR Campania 2007-2013;con la collaborazione del Ministero per i Beni e le Attività culturali- Direzione Generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee; con il supporto di Seda Group, Italcoat Group e Metropolitana di Napoli.



Bill Viola per Capodimonte
Dal 30 ottobre 2010 al 23 gennaio 2011
Museo di Capodimonte
Orari: Aperto tutti i giorni dalle 8.30 alle 19.30
Chiuso mercoledì. La biglietteria chiude un'ora prima
Biglietto
Solo Mostra : Intero: 5,00 Euro - Ridotto: 2,50 Euro Applicabile a tutte le categorie che usufruiscono della gratuità prevista per il Museo dalla normativa vigente nonché per coloro che usufruiscono delle riduzioni di legge e per le aziende che hanno sostenuto finanziariamente e promozionalmente la realizzazione della mostra. Per la prenotazione per i singoli sarà prevista una tariffa pari a 1,50 Euro
Gruppi: 4,00 Euro (min. 20 persone - Max 30 persone) + 25,00 Euro di prenotazione obbligatoria; pacchetti turistici;
Gratuito: fino a 6 anni, giornalisti con tesserino, insegnanti accompagnatori, docenti di storia dell'arte degli istituti liceali, membri di ICOM e ICCROM, guide turistiche nell'esercizio della propria attività professionale, dipendenti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Biglietto integrato Mostra/Museo
Intero: 10,00 euro
Ridotto: 5,00 euro
Informazioni e prenotazioni
848.800.288, dall'estero e dai cellulari +39.06.39967050

L'organizzazione è curata da Civita.
Il catalogo è edito da Electa

Ufficio Stampa
Soprintendenza, Simona Golia tel. 081 2294478 -fax 081 2294498;
sspsae-na.uffstampa@beniculturali.it
www.polomusealenapoli.beniculturali.it
Civita, Barbara Izzo-Arianna Diana, tel. 06 692050220-258 izzo@civita.it ; diana@civita.it www.civita.it




sabato 23 ottobre 2010

Guardia Lombardi presente alla Fiera Nazionale del Tartufo bianco pregiato di Sant'Agata Feltria













FIERA NAZIONALE DEL TARTUFO BIANCO PREGIATO
DI SANT'AGATA FELTRIA

SANT'AGATA FELTRIA
03 - 10 - 17 - 24 - 31 ottobre 2010


Giunta alla XVI edizione, è la grande rassegna fieristica che nelle domeniche di Ottobre richiama numerosi estimatori del prelibato e profumatissimo TARTUFO BIANCO PREGIATO. Ipnotizzati dal carisma della "trifola", le migliaia di visitatori troveranno anche quest'anno, accanto al celebre tubero, tutti i prodotti autunnali che questa generosa terra appenninica offre: funghi, castagne, miele, erbe officinali, prodotti della pastorizia e della agricoltura e, inoltre, manufatti dell'artigianato rurale ed artistico. L'accurata selezione dei prodotti e delle specialità presenti in fiera sono garanzia di genuinità e freschezza e fanno della manifestazione santagatese l'appuntamento autunnale più prestigioso del settore in Italia. Ma la fiera è anche momento d'incontro per gustare le numerose specialità, a base di tartufo e funghi, tra le più raffinate e squisite della cucina nazionale ed internazionale. Le vie, le piazze, gli angoli più caratteristici dell'incantevole borgo medioevale di SANT'AGATA FELTRIA, che si fregia del marchio "Città del Tartufo", si riempiono di odori inebrianti ed esaltanti, vera delizia per i buon gustai! Per tutta la durata della manifestazione si susseguiranno mostre di alto valore culturale; diversificate occasioni di intrattenimento e spettacoli vari.

Con l'anno 2010 la Fiera Nazionale del Tartufo Bianco Pregiato raggiunge la 26° edizione.

Ventisei edizioni tuttavia non rappresentano solamente un traguardo, diremmo piuttosto un nuovo importante punto di partenza con sempre maggiore impegno, per il raggiungimento di altri importanti obiettivi.

Presidente Pro Loco
Margherita Marini


Sono presenti all'evento tre ambasciatrici del Museo di Guardia Lombardi:


Rocchina Rossi

Francesca Maiorano

Tania Maiorano


All'evento verrà presentato il primo CD-VIDEO del Museo,

realizzato dalle stesse presenti all'evento.


Grazie all'interesse:

del direttore del Museo, Giovanni Montemarano,

del vicesindaco di Guardia, consigliere provinciale, Francescantonio Rossi.





Massimo de Angelis - Fine Trasmissioni



























San Giorgio A Cremano (NA) - dal 23 ottobre al 13 novembre 2010
Massimo de Angelis - Fine Trasmissioni

BIBLIOTECA COMUNALE
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Via Cavalli Di Bronzo 20 (80046)
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Eventi in corso nei dintorni

Le opere di Massimo de Angelis sono icone cromatiche definite da segni di discendenza manga, strutturate destrutturando sollecitazioni visive, presentate in una sorta di collettiva individuale che delinea il percorso multi-orientato dell’artista.
orario: dal martedì al venerdì dalle 9.30 alle13.30 e dalle 14.30 alle 18.00 il sabato dalle 9.30 alle 13.30
(possono variare, verificare sempre via telefono)

biglietti: free admittance
vernissage: 23 ottobre 2010. ore 17.30
autori: Massimo de Angelis
patrocini: Comune di San Giorgio a Cremano
telefono evento: +39 0815654354
genere: arte contemporanea, personale
email: info@lineadarco.it
web: www.lineadarco.it


“Le opere di Massimo de Angelis sono icone cromatiche definite da segni di discendenza manga,

strutturate destrutturando sollecitazioni visive, presentate in una sorta di collettiva individuale che delinea il percorso multi-orientato dell’artista.

de Angelis fagocita stimoli estetici, onirici, esperienziali e li formalizza deformando le forme, saturando i colori, tendendo i segni.

Influenzato dall’arte informale, dalla pop art, dal surrealismo, dall’astrattismo, dalla street art, dall’erotismo manga e dei grandi fotografi

de Angelis vede, scova, registra, spesso munito di taccuino, appunta dettagli grafici di elementi nascosti.

Come in un test di Rorschach, cui dedica non a caso un tributo, forme e colori sottendono una profonda introspezione. […]” dal testo critico di Oriana Russo

Biografia artista: Massimo de Angelis nasce a Portici (Na) , nel 1972 e inizia a dipingere alla fine degli anni ’90.

Si occupa di design e pittura. Firma i suoi primi lavori con lo pseudonimo di MadMax.
Nelle sue opere sintetizza il gusto per il segno fumettistico e i colori pop.

Alcuni suoi lavori sono stati utilizzati per scenografie televisive.

sabato 16 ottobre 2010

Mary A. Waters



























Napoli - dal 16 ottobre al 27 novembre 2010
Mary A. Waters

AL BLU DI PRUSSIA
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Via Gaetano Filangieri 42 (80121)
+39 081409446 , +39 0812520464 (fax)
info@albludiprussia.com
www.albludiprussia.com
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Eventi in corso nei dintorni

Mary A.Waters agisce come una cacciatrice d’immagini, riprendendo nelle sue tele quei personaggi tratti dai più celebri ritratti della storia dell’arte che dipinge in maniera contemporanea.
orario: da martedì a venerdì ore 16.30-20; sabato ore 10.30-13 e 16.30-20
(possono variare, verificare sempre via telefono)

biglietti: free admittance
vernissage: 16 ottobre 2010. dalle ore 18.00 alle ore 20.30
curatori: Mario Pellegrino
autori: Mary A. Waters
genere: arte contemporanea, serata - evento, personale


Dipingere in maniera contemporanea i ritratti celebri del Rinascimento Italiano e del ”Secolo d’Oro” Olandese ed Inglese, le due grandi passioni, i due punti di riferimento della sua cifra artistica: dando ai personaggi rappresentativi dell’epoca nuova luce, quasi una nuova vita, e nel contempo un diverso modo di rappresentare il potere e la ricchezza del loro rango.
Mary A. Waters è l’artista che inaugurerà sabato 16 ottobre prossimo la stagione espositiva del “Al Blu di Prussia”, lo spazio artistico multidisciplinare di via Filangieri 42 che Giuseppe Mannajuolo ha ripresentato sulla scena culturale napoletana quattro anni fa, riproponendo un marchio di qualità e un nome storico delle gallerie d’arte napoletane (il vecchio “Al Blu di Prussia”, fondato dallo zio, Guido Mannajuolo) sempre nella stessa elegante strada di Chiaia.
Un’apertura a livello internazionale, grazie alla collaborazione tra “ Al Blu di Prussia”, di cui è direttore artistico Mario Pellegrino, e ” Pièce Unique Paris ”, la galleria parigina di Marussa Gravagnuolo e Christine Lahoud, che a giugno scorso hanno ospitato l’artista, nata a Londra nel 1957 nei loro spazi di rue Jacques Callot.
Mary A. Waters vive e lavora dividendosi tra l’Irlanda (Galway) e l’Olanda (Utrecht), è cresciuta in Irlanda, in un contesto dove l’accesso ai capolavori dei musei o a quello delle ricche illustrazioni delle biblioteche non era sempre visibile. Si appassionò giovanissima alla pittura del Rinascimento Italiano e a quella degli artisti del “Secolo d’oro” sia Olandese sia Inglese, Mary A. Waters ha dovuto soddisfare la sua curiosità osservando le riproduzioni, sempre in bianco e nero, che trovava nei cataloghi. Questo rapporto indiretto con le opere ha profondamente influenzato la sua riflessione, e il principio stesso della riproduzione è tuttora il cuore del suo percorso artistico.
Nel quale la Waters agisce come una cacciatrice d’immagini, riprendendo nelle sue tele quei personaggi tratti dai più celebri ritratti della storia dell’arte che dipinge in maniera contemporanea. Il minuzioso trattamento di elementi passati contrasta, infatti, con l’uso libero del colore e l’impronta di tecniche fotografiche o cinematografiche: l’inquadratura in primo piano, i formati simili a schermi cinematografici, i fondi monocromi come quelli degli studi fotografici.
Presentati in un ambiente inappropriato – una singolare operazione di sottrazione - questi personaggi altezzosi, che mostrano i loro attributi di potere e ricchezza, vedono sminuire quel senso di superiorità che le immagini veicolavano. Giocando su falsi anacronismi, Mary A. Waters ci invita a ritornare sul nostro modo di osservare le opere, particolarmente sulle immagini emblematiche della cultura europea occidentale.
Attraverso questi ritratti sapientemente elaborati, presentati fuori dal proprio contesto e dal proprio tempo, la Waters intende farci cogliere prima di tutto l’atemporalità e il potere della Pittura.
Questa del “Al Blu di Prussia” è la prima esposizione di Mary A. Waters in Italia, che nella galleria di via Filangieri presenterà anche una serie di lavori inediti (cm 60 x 50) realizzati dall’artista appositamente per la mostra napoletana.




sabato 9 ottobre 2010

Luigi De Giovanni - Paesaggiooltrepaesaggio



















Lecce - dal 9 al 23 ottobre 2010
Luigi De Giovanni - Paesaggiooltrepaesaggio

BIBLIOTECA GALLERIA BERNARDINI - EX CONVITTO PALMIERI
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Piazzetta Giosuè Carducci (73100)
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Eventi in corso nei dintorni

Una ricerca pittorica per indagare con sensibilità luoghi geografici e dell’anima trasferendo sulla tela infinite emozioni.
vernissage: 9 ottobre 2010. ore 18
autori: Luigi De Giovanni
genere: arte contemporanea, personale
email: luigi.degiovanni731@teletu.it


Spazio Espositivo: Galleria Bernardini – (ex Convitto Palmieri) Lecce
Titolo: paesaggiooltrepaesaggio
Vernissage: 9 ottobre 2010 ore 18.00
Chiusura: 23 ottobre 2010-09-27
Abstract: Un ciclo di esposizioni che mette in luce il mondo dell’artista che, partendo dal paesaggio del Salento, terra d’origine, dal paesaggio enigmatico della Sardegna, terra che lo ha accolto nel suo peregrinare alla ricerca di una pace che poteva trovare solo in se stesso, indagando i fiori, nature morte che raccontano la vita, si sofferma sui jeans, indumenti che hanno significato una rivoluzione non solo di costume, presenta il suo modo d’intendere l’arte in tre mostre che vogliono essere percorso del suo animo, delle sue angosce, del suo modo di percepire la natura e la società.
Orari di apertura: dalle 09,00 alle 13,00 – dalle 15,30 alle 20,00 escluso la domenica

info: 339.4038939
AMACI: ASSOCIAZIONE MUSEI ARTE CONTEMPORANEA
9 ottobre 2010: Giornata del Contemporaneo Sesta edizione
PROVINCIA DI LECCE - COMUNE DI SPECCHIA LECCE
Segreteria organizzativa
Il Raggio Verde edizioni ed eventi d’arte
www.ilraggioverdesrl.it
info@ilraggioverdesrl.it
Curatore: Maurizio Nocera
Testo di presentazione: Maurizio Nocera
Artista De Giovanni Luigi
Ingresso libero

AMACI: ASSOCIAZIONE MUSEI ARTE CONTEMPORANEA
9 ottobre 2010: Giornata del Contemporaneo Sesta edizione

PROVINCIA DI LECCE - COMUNE DI SPECCHIA LECCE

LECCE/LUCUGNANO/ SPECCHIA

LUIGI DE GIOVANNI
9/23 Ottobre 2010 paesaggiooltrepaesaggio
Un ciclo di esposizioni che mette in luce il mondo dell’artista che, partendo dal paesaggio del Salento, terra d’origine, dal paesaggio enigmatico della Sardegna, terra che lo ha accolto nel suo peregrinare alla ricerca di una pace che poteva trovare solo in se stesso, indagando i fiori, nature morte che raccontano la vita, si sofferma sui jeans, indumenti che hanno significato una rivoluzione non solo di costume, presenta il suo modo d’intendere l’arte in tre mostre che vogliono essere percorso del suo animo, delle sue angosce, del suo modo di percepire la natura e la società.

PAESAGGIOOLTREPAESAGGIO
personale di pittura
Luigi De Giovanni
Puglia e Sardegna, luoghi amati, sognati.
Una ricerca pittorica per indagare con sensibilità luoghi geografici e dell’anima trasferendo sulla tela infinite emozioni.
9-23 ottobre 2010
Vernissage 9 ottobre 2010 ore 18.00
Interviene Simona Manca
Vicepresidente Provincia di Lecce e Ass. alla Cultura
Antonio Biasco Sindaco di Specchia
Galleria Bernardini - piazzetta Carducci (ex Convitto Palmieri)
Testo a cura di: Maurizio Nocera
22 Ottobre 2010
Laboratorio con il maestro Luigi De Giovanni sul paesaggio nell’arte contemporanea rivolto ai bambini e ragazzi della città di Lecce

LUCUGNANO (TRICASE)
14 ottobre CASA COMI ore 17,30
“L’arte contemporanea del 900 nel Salento”
Interventi
Alessandro Laporta
Maurizio Nocera
Apertura della mostra
“La poetica dei fiori” di Luigi De Giovanni
Vernissage 14 ottobre ore 19,30
Interviene Simona Manca Vicepresidente Provincia di Lecce e Ass. alla Cultura
14-23 ottobre 2010



LECCE/LUCUGNANO/ SPECCHIA
9/23 Ottobre 2010

SPECCHIA
Jeans: le visioni pittoriche di Luigi de Giovanni

15/23 ottobre
Capanne dellu Ripa a Specchia
15 ottobre laboratorio con il maestro Luigi De Giovanni sul paesaggio nell’arte contemporanea rivolto ai bambini e ragazzi della città di Specchia
Sono previsti in mattinata itinerari guidati e in serata
visita della mostra allestita a Casa Comi (Lucugnano)
Segreteria organizzativa
Il Raggio Verde edizioni ed eventi d’arte
info: 339.4038939
www.ilraggioverdesrl.it
info@ilraggioverdesrl.it

PROFUMO DI FIORI
I fiori, i paesaggi e le nature morte di Luigi De Giovanni

Mi chiedo: ma quand’è che ho incontrato il pittore Luigi De Giovanni? È accaduto, almeno credo, qualche anno fa a Cardigliano di sopra (Specchia), la mitica “città” Guisnes
dei sogni miei e di Antonio L. Verri. Negli anni ‘70/80, quando ancora Cardigliano era solo preda del vento, dei cani randagi e di qualche incontro d’amanti ingannevoli (chi mai può dimenticare le centinaia di graffiti, segni e grossolani dipinti erotici che ornavano le pareti dei capannoni, che un tempo erano stati usati come magazzini per stendere le foglie di tabacco a seccare). Cardigliano di sopra era stato anche nostro luogo d’incontro, perché il Verri l’aveva scelto come scenografia di riferimento per uno dei suoi romanzi più belli, “I trofei della città di Guisnes”. Oggi Cardigliano è un’altra cosa: è un villaggio dall’aspetto urbanistico fresco e lindo, con un’altissima pala eolica e le vecchie dimore restaurate assieme a quella deliziosa chiesetta al centro della grande strada, che noi consideravamo una piccola basilica di San Marco nella campagna leccese. È nella nuova Cardigliano di sopra che, una sera d’un’estate di qualche anno fa, ho incontrato il pittore Luigi De Giovanni. Esponeva le sue ultime opere: fiori e paesaggi salentini e sardi. Il Salento e la Sardegna sono i luoghi dell’anima del pittore, in essi egli vive e opera, attraverso essi il suo pensiero d’artista si libera e corre veloce verso soluzioni cromatiche che stupiscono. Alle amiche (Giusy Petracca e Antonietta Fulvio) de Il Raggio Verde, la casa editrice che organizzava l’evento-mostra a Cardigliano, dissi subito che ero incantato, spaesato, in trance. Davanti ai dipinti di De Giovanni avvertivo una strana sensazione percettiva: magicamente, le mie narici s’inebriavano del profumo di quei fiori che vedevo dipinti. Davanti al grande vaso di girasoli (un chiaro omaggio a Van Gogh) ho sentito spargersi dal dipinto il tipico profumo acre del fiore americano; e davanti al dipinto di alcuni mandorli con i fiori appena sbocciati, sono stato avvolto dal profumo della primavera che arrivava (il mandorlo dalla nostre parti, in Salento, ma anche in Sardegna, fiorisce già in gennaio, cioè quando ancora è inverno pieno e la nuova stagione lo coglie appunto nel sorriso dei suoi fiori); e ancora, davanti ai vasi con i fiori di campo, mi sono sentito confuso nelle quadricromie dei lentischi, mirti, timi; e stupito tra i fiori delle calendule arvensis, dei papaveri di ogni dimensione, dei gialli alissi di Leuca; e ancora davanti ai becchi di gru di gussone, bocche di lupo, garofanini salentini, foglie di borragine arrossata, gialle ginestre spinose a più non posso; e ai cardi a capolini rossi, e ancora davanti a tantissima erica pugliese con i suoi delicati fiorellini rosei con corolla campanulata; infine, mi sono sentito perduto in quel roseo-violaceo dei fiori della legousia speculum-veneris; e in tanti, tanti altri colori di fiori degiovannei. L’artista diede pure dei titoli a quei suoi dipinti che ancora tengo effigiati sul palcoscenico della mente. Si tratta di titoli che a rileggerli oggi nel bel catalogo “Luigi De Giovanni / Le vibrazioni della natura” (Firenze 2000)” supportato dalla Galleria d’arte Mentana e curato da Paolo Levi, mi sospingono ad esperienze fantastiche, a sollecitazioni che mi fanno sognare mondi sorretti ancora dal desiderio di vivere, che mi incitano a ben sperare nella bellezza della vita. “Il davanzale” è un dipinto con vasi di fiori su un tavolo davanti ad un’idea di finestra; “Risveglio” è un dipinto con due alberelli di mandorli in fiore su un declivio dalle differenti tonalità del verde; “Primavera a Seulo” è il trionfo del giallo dei fiori d’acacia che prorompe dal dipinto spargendosi nella vastità dello sguardo dell’ammiratore; “l’Ogliastra” è un tenero paesaggio sardo con montagne che baciano il cielo; e ancora “Ulivi a Specchia”, dipinto dal quale è possibile percepire la sofferente contorsione dei tronchi degli alberi d’ulivo, albero caro alla vergine Athena, ed alberi che ci dicono che nella città natale dell’artista, Specchia appunto, nel mitico Capo di Leuca, la vita, non sempre facile, ha comunque il colore del verde, anzi verdissimo come forte richiamo alla speranza. Ma l’incanto e la mia trance toccano la vetta del sentimento davanti al dipinto “La casa del vento”, dove la maestria dell’artista ha prodotto una policromaticità che s’interseca con la variabilità degli umori dell’uomo ammiratore,
sorretto dalla nostalgia del tempo perduto: si tratta di una casina rosea (mi viene in mente quella sull’isola dell’esilio di Pablo Neruda, il grande poeta cileno, nel film “Il postino” del sempre caro Massimo Troisi), sperduta su un limitare di costa salentina con appena una traccia di mare in una variopinta cromaticità di macchia mediterranea con fiori e colori dell’intera iride. Paolo Levi ha scritto che «Luigi De Giovanni [è un] artista romantico e intimista, [che] porta in luce con sguardo meticoloso gli angoli più solari di una campagna che palpita di colori, di riflessi luminosi, di orizzonti lontani, dove l’occhio ormai si perde in un’onirica trasfigurazione». Quanto afferma il critico d’arte non solo è vero, ma lo è tanto di più da farlo percepire persino ad uno spettatore sprovveduto dell’opera dell’artista, sempre solare e aperto ai giuochi delle “forme” del colore che, come sappiamo, emergono con sfolgorio dalle raffigurazione dei fiori, delle nature morte, dei paesaggi che egli, indubbiamente poeta del pennello, adagia con determinazione sulla tela. Anche Mauro Manunza coglie bene il senso della pittura di De Giovanni quando con lievità avverte il lettore che «i colori forti, rabbiosi, gli incastri di luminosità accompagnano ancor oggi la sintassi descrittiva di Luigi De Giovanni che dalle impressionanti tempere di tanti anni fa ha ricavato l’esperienza pop, le geometrie, i vortici, le tecniche miste, i jeans, la cartapesta, la juta, l’urlo visualizzato della disperazione psicopatica». Manunza cita un fare arte dell’artista che è davvero sorprendente, dove il risultato pittorico va oltre lo stesso buco bruciato sulla juta nell’opera di Burri. Un solo esempio, affascinante, travolgente, che incolla lo spettatore all’opera, è quando ci si trova davanti ai suoi dipinti sui Jeans, i cui colori e le cui pennellate sono colpi di sciabola sui dispiaceri, sulle sofferenze del mondo, soprattutto in quel mondo fatto di miseria, di discriminazione, di violenza gratuita. L’affermazione di Nicola Nuti («per Luigi De Giovanni quella pittorica rimane l’attività espressiva più efficace e intima, la più gratificante in termini poetici». E sì, anche questo è vero, perché, soprattutto nei dipinti di fiori, nature morte e paesaggi salentini e sardi, non si può raggiungere un livello così alto di espressività policromatica se non si è poeti, se non si è masticata l’aspra foglia del verso che si fa armonia.
Mi fa riflettere la nota critica di Tommaso Paloscia, scritta nell’ormai lontano 1995, quando afferma che «i fiori, splendidi termini di un linguaggio che ha radici profonde nella coscienza di De Giovanni e che torna alla luce, finalmente, quando l’ossessione delle elaborazioni mentali si cheta. Riacquista così nella semplicità dell’espressione meridionale la forza in cui riemerge la purezza del mito che ha nutrito nei millenni la gente di Puglia». Anche in questo caso si tratta di una costatazione certa, perché è proprio così, la Puglia, e di essa quella parte che ha visto nascere l’artista, il Salento, altro non è che un ancestrale grumo di miti fatto di colori, di fantasmi che vagolano sui cornicioni delle case di pietra, di monaci basiliani che di notte, come certe notti di qui, di luna piena, se ne vanno silenziosi per coste marine alla ricerca della pietra della conoscenza e, a loro volta, si incontrano con fate ed elfi che anche loro vanno alla ricerca di nascondigli dove ripararsi dagli sguardi cattivi dell’uomo nero. Luigi De Giovanni è nato in questi luoghi, tanto da pensare alla sua pittura come quella di un elfo, “invasato” da una fantasia di colori che la forza della speranza proietta sulla tela. Su un catalogo del 1998, Salvatore Antonio Demuro scrive che «i fiori nei vasi paiono rincorrersi in una massa cromatica pulsante di vita, ritmati incalzati dagli stimoli interiori del pittore che comunica immagini poetiche». E qui siamo nuovamente alla poesia, cosa che ci fa dire definitivamente che la pittura di Luigi De Giovanni è il canto melodioso di un poeta che al posto delle parole usa i colori, usa i segni vibrati sulla tela.
Per questo ha ragione la signora Giovanna Laura Adreani quando scrive che «il mattino, quando ancora la giornata deve prendere fisionomia, con i suoi silenzi e i momenti di sospensione, è un momento magico per l’artista, perché proprio allora s’intraprende il colloquio fra tela, luce e colore. Il cavalletto accanto alla finestra, da dove irrompe la luce con cui stabilire il dialogo, è il primo fulcro della sua attenzione».
Appunto magia, arte della veggenza e della trasformazione degli elementi che, nelle fatate mani di Luigi De Giovanni, si fanno fiore che bacia l’amore, montagna che cammina, sogno pan di spagna, ed è il pittore stesso ad affermare che, per lui, «l’arte è la ricerca fatta momento per momento, [arte che] è la sua vita, i suoi sentimenti, i suoi turbamenti. L’arte [che per lui] è poesia della figura, del paesaggio e dei fiori che cambiano con la luce. L’arte è nella luce forte del Salento ed in quella enigmatica della Sardegna. L’arte è nell’angoscia e nella sofferenza del vivere, è nel vissuto dei Jeans. L’arte, [il pittore] la ritrova nella parte più spirituale della vita».
Maurizio Nocera


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