Pietro Lista - Le fenditure luminose
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La galleria cobbler è lieta di annunciare l’inaugurazione della mostra personale di pietro lista
Curatrice rosa cuccurullo
Lo spazio, oggi piccola galleria d’arte, è rimasto chiuso per anni ed è stata la bottega di un ciabattino da qui il nome “cobbler” traduzione in inglese.
Si è pensato di proporre un contenitore come riferimento per la cultura nella speranza che la città accolga l’iniziativa con interesse.
Le fenditure luminose
Dalla pittura alla scultura e, viceversa, dalla scultura alla pittura. E poi, ancora, dalla luce a quello che luce non è. Il lavoro proposto da Pietro Lista – dal Lista dell’ultimo periodo, legato, questo, quasi ossessivamente, alla vuotitudine – segue un andamento visivo che fa del buio, della notte, dell’inquieto, del nero, della profondità illimitata in cui perdersi, il primo alito di una forma creativa che dialoga con i paesi dell'apparizione e dell'immaginazione, del sonno della ragione e del sogno aperto in cui le immagini sono presidiate, sorvegliate e disciplinate al fine di contenere entro limiti ben definiti un potere immaginifico pungente e spigoloso.
Azzerando la tavolozza cromatica all’essenziale Pietro Lista recupera dagli albori del proprio discorso artistico legato a quei luoghi che vanno al di là dei recinti della pittura (al gesto primitivo e all’irresistibilità dell’azione performativa) un gusto stilistico teso a celebrare i giardini estetici del necessario facendo del notturno appunto, dell’assenza o della precipitosa (e improvvisa) saliva di luce che squarcia e incendia le tenebre e il silenzio, l’apparecchio visuale attraverso il quale produrre un elogio (irresistibile, per l’autore) del buio e del vuoto, dell'incerto in cui spingersi per ritrovare luoghi ed occasioni dell'arte e della sua storia.
Spazio asettico, ambiente di riflessione e di pausa distensiva, sogno al quale vengono sottratte (o rubate) immagini e parole. Ma anche territorio di visione gioiosa e sommessa, regione di rigenerazione e di allontanamento dal chiasso del mondo, il buio è, per Lista, sfera d'azione in cui non solo il pensier si finge ma naviga anche tra le ombre e le sembianze della realtà.
Scansando (e sabotando) con eleganza l'horror pleni prodotto dalla quotidianità contemporanea, Pietro Lista cerca nel silenzio delle cose – nel buio delle nuove opere che, da tempo, elabora con grande slancio e raffinatezza – un universo formale legato al recupero di un necessario horror vacui in cui rintracciare segni, spiragli, guizzi di luce, fragili lingue d'esistenza, morbide, anzi morbidissime apparizioni.
Composta da grandi tele di eguale grandezza e da tredici pietre nere installate su altrettanti cubi che tendono ad alleggerire il materiale adoperato, Pietro Lista occupa lo spazio fisico per metamorfosare la propria invasione territoriale in spazio mentale, in geografia immaginifica atta a rivalutare non solo il territorio della parete ma anche quello dell'area transitabile (la sua inevitabile caduta nel precipizio della vita) in cui è possibile percepire un tempo adoperato come brano linguistico e come prefisso di sovrastoricità. Perché è proprio nel fare spazio (Heidegger), nel costruire l'ambiente (dal pieno di cui è composto il vuoto, secondo alcune leggi della filosofia Zen), che l'analisi di Lista si fa strada per saltare il fosso della fenditura fontaniana e della matericità burriana con lo scopo di verificare e rintracciare, appunto nella materia e nella fenditura, una matrice di felice, genuina e forse finanche dolorosa abitabilità.
I suoi nuovi scenari – gli scenari nei quali ci trasporta (e forse ci spinge) in questa nuova visione delle cose – sono carichi di corpi e di spazi incantati in cui leggere, in silenzio e a lungo, i brani della storia (delle storie) dell'arte per assaporare, di volta in volta, pastose punte di luce, entità minime di senso che terrorizzano o invitano lo spettatore in un vuoto pallido che brulica di leggerezza, di fragile e leopardiana quiete in cui tutto può accadere. L'accendersi di una candela timida, il graffio germinale di un segnale consumato, l'aprirsi di una soglia lontana, la radice di un corpo o i primordi di un sorriso che non sa più a qual viso – dell'arte o della vita – appartenne.
Così, ribaltando il bianco della tela e la purezza del sudario – luogo al quale Lista ritorna, ciclicamente, per trovare la matrice di un volto o i rimasugli di un nome sbocconcellato dal tempo – in area massicciamente neutra (e neutrale), l'artista utilizza il buio e quello che il buio nasconde dietro cortine fitte e impraticabili come stratagemma preferenziale dal quale suggere l'unità delle cose e ingenerare, via via, una potente pausa riflessiva che coincide con il candore della vita mentre la stessa vita tace.
Antonello Tolve
Pietro Lista | Castiglione del Lago, Perugia 1941 |
Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Napoli formandosi con Emilio Notte, Giovanni Brancaccio, Vincenzo Ciardo, Mario Colucci. Inizia ad esporre dal 1960 in Italia e all’estero. In questi anni frequenta gli ambienti dell’avanguardia napoletana, dominata dalla figura di Luca (Luigi Castellano) e prende parte, insieme al Gruppo NA/6, ad una mostra presso la Galleria Numero di Firenze nel 1962; nel 1965 partecipa ad una collettiva presentata da Giulio Carlo Argan alla Galleria del "Cine Club" di Napoli.
Nel 1968 è presente alla mostra di Amalfi Arte Povera + Azioni povere, a cura di Germano Celant; nello stesso anno costituisce il Gruppo Teatrale Artaud, dove, in sintonia con il teorico del Teatro della crudeltà, sperimenta la fisicità ritualizzata e codificata della danza come espressione fisica; il manifesto Il verbo sorge dal sonno come il fiore, ne è il testo teorico.
Nel 1970 apre la Galleria Taide a Salerno, fonda l’omonima casa editrice e pubblica la rivista "Taide". Lo spazio espositivo è il luogo di incontro e confronto tra i maggiori intellettuali salernitani dell’epoca, quali Alfonso Gatto, Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva.
Del 1971 è la personale alla Galerie Bosquet di Parigi. Nel 1973 partecipa a Sei proposte alternative, nell’ambito della VIII Biennale di Parigi e nel 1975 alla X Quadriennale d’Arte di Roma. Nel 1978 è presente al Premio Michetti, mentre nel 1980 prende parte a "Livres d’art et d’artistes" presso la Galleria NRA di Parigi. Nel 1983 con la presentazione di Renato Barilli, Maria Di Domenico e Filiberto Menna, tiene una personale alla Galleria Trans/Form di Parigi, e partecipa alla collettiva Pole Position alla Galerie K di Tokyo. Nel 1993 fonda a Paestum il MMMAC Museo dei Materiali Minimi d’Arte Contemporanea. Del 2000 è la mostra personale Interni, presentata da Gillo Dorfles, alla Galeria d'art 33 di Barcellona.
Nel 2004 la Provincia di Salerno, in collaborazione con l’Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo di Cava de’ Tirreni, gli ha dedicato un’ampia antologica, tenutasi al Convento di Santa Maria del Rifugio.
Nel 2006 è tra i finalisti del Premio Artemisia, e l’anno seguente espone presso l’Archivio di Stato del Palazzo del Senato di Milano.
Della sua intensa attività espositiva hanno scritto Giulio Carlo Argan, Renato Barilli, Raffaele D’Andria, Maria Di Domenico, Giorgio Di Genova, Gillo Dorfles, Rino Mele, Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva, Angelo Trimarco.
Curatrice rosa cuccurullo
Lo spazio, oggi piccola galleria d’arte, è rimasto chiuso per anni ed è stata la bottega di un ciabattino da qui il nome “cobbler” traduzione in inglese.
Si è pensato di proporre un contenitore come riferimento per la cultura nella speranza che la città accolga l’iniziativa con interesse.
Le fenditure luminose
Dalla pittura alla scultura e, viceversa, dalla scultura alla pittura. E poi, ancora, dalla luce a quello che luce non è. Il lavoro proposto da Pietro Lista – dal Lista dell’ultimo periodo, legato, questo, quasi ossessivamente, alla vuotitudine – segue un andamento visivo che fa del buio, della notte, dell’inquieto, del nero, della profondità illimitata in cui perdersi, il primo alito di una forma creativa che dialoga con i paesi dell'apparizione e dell'immaginazione, del sonno della ragione e del sogno aperto in cui le immagini sono presidiate, sorvegliate e disciplinate al fine di contenere entro limiti ben definiti un potere immaginifico pungente e spigoloso.
Azzerando la tavolozza cromatica all’essenziale Pietro Lista recupera dagli albori del proprio discorso artistico legato a quei luoghi che vanno al di là dei recinti della pittura (al gesto primitivo e all’irresistibilità dell’azione performativa) un gusto stilistico teso a celebrare i giardini estetici del necessario facendo del notturno appunto, dell’assenza o della precipitosa (e improvvisa) saliva di luce che squarcia e incendia le tenebre e il silenzio, l’apparecchio visuale attraverso il quale produrre un elogio (irresistibile, per l’autore) del buio e del vuoto, dell'incerto in cui spingersi per ritrovare luoghi ed occasioni dell'arte e della sua storia.
Spazio asettico, ambiente di riflessione e di pausa distensiva, sogno al quale vengono sottratte (o rubate) immagini e parole. Ma anche territorio di visione gioiosa e sommessa, regione di rigenerazione e di allontanamento dal chiasso del mondo, il buio è, per Lista, sfera d'azione in cui non solo il pensier si finge ma naviga anche tra le ombre e le sembianze della realtà.
Scansando (e sabotando) con eleganza l'horror pleni prodotto dalla quotidianità contemporanea, Pietro Lista cerca nel silenzio delle cose – nel buio delle nuove opere che, da tempo, elabora con grande slancio e raffinatezza – un universo formale legato al recupero di un necessario horror vacui in cui rintracciare segni, spiragli, guizzi di luce, fragili lingue d'esistenza, morbide, anzi morbidissime apparizioni.
Composta da grandi tele di eguale grandezza e da tredici pietre nere installate su altrettanti cubi che tendono ad alleggerire il materiale adoperato, Pietro Lista occupa lo spazio fisico per metamorfosare la propria invasione territoriale in spazio mentale, in geografia immaginifica atta a rivalutare non solo il territorio della parete ma anche quello dell'area transitabile (la sua inevitabile caduta nel precipizio della vita) in cui è possibile percepire un tempo adoperato come brano linguistico e come prefisso di sovrastoricità. Perché è proprio nel fare spazio (Heidegger), nel costruire l'ambiente (dal pieno di cui è composto il vuoto, secondo alcune leggi della filosofia Zen), che l'analisi di Lista si fa strada per saltare il fosso della fenditura fontaniana e della matericità burriana con lo scopo di verificare e rintracciare, appunto nella materia e nella fenditura, una matrice di felice, genuina e forse finanche dolorosa abitabilità.
I suoi nuovi scenari – gli scenari nei quali ci trasporta (e forse ci spinge) in questa nuova visione delle cose – sono carichi di corpi e di spazi incantati in cui leggere, in silenzio e a lungo, i brani della storia (delle storie) dell'arte per assaporare, di volta in volta, pastose punte di luce, entità minime di senso che terrorizzano o invitano lo spettatore in un vuoto pallido che brulica di leggerezza, di fragile e leopardiana quiete in cui tutto può accadere. L'accendersi di una candela timida, il graffio germinale di un segnale consumato, l'aprirsi di una soglia lontana, la radice di un corpo o i primordi di un sorriso che non sa più a qual viso – dell'arte o della vita – appartenne.
Così, ribaltando il bianco della tela e la purezza del sudario – luogo al quale Lista ritorna, ciclicamente, per trovare la matrice di un volto o i rimasugli di un nome sbocconcellato dal tempo – in area massicciamente neutra (e neutrale), l'artista utilizza il buio e quello che il buio nasconde dietro cortine fitte e impraticabili come stratagemma preferenziale dal quale suggere l'unità delle cose e ingenerare, via via, una potente pausa riflessiva che coincide con il candore della vita mentre la stessa vita tace.
Antonello Tolve
Pietro Lista | Castiglione del Lago, Perugia 1941 |
Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Napoli formandosi con Emilio Notte, Giovanni Brancaccio, Vincenzo Ciardo, Mario Colucci. Inizia ad esporre dal 1960 in Italia e all’estero. In questi anni frequenta gli ambienti dell’avanguardia napoletana, dominata dalla figura di Luca (Luigi Castellano) e prende parte, insieme al Gruppo NA/6, ad una mostra presso la Galleria Numero di Firenze nel 1962; nel 1965 partecipa ad una collettiva presentata da Giulio Carlo Argan alla Galleria del "Cine Club" di Napoli.
Nel 1968 è presente alla mostra di Amalfi Arte Povera + Azioni povere, a cura di Germano Celant; nello stesso anno costituisce il Gruppo Teatrale Artaud, dove, in sintonia con il teorico del Teatro della crudeltà, sperimenta la fisicità ritualizzata e codificata della danza come espressione fisica; il manifesto Il verbo sorge dal sonno come il fiore, ne è il testo teorico.
Nel 1970 apre la Galleria Taide a Salerno, fonda l’omonima casa editrice e pubblica la rivista "Taide". Lo spazio espositivo è il luogo di incontro e confronto tra i maggiori intellettuali salernitani dell’epoca, quali Alfonso Gatto, Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva.
Del 1971 è la personale alla Galerie Bosquet di Parigi. Nel 1973 partecipa a Sei proposte alternative, nell’ambito della VIII Biennale di Parigi e nel 1975 alla X Quadriennale d’Arte di Roma. Nel 1978 è presente al Premio Michetti, mentre nel 1980 prende parte a "Livres d’art et d’artistes" presso la Galleria NRA di Parigi. Nel 1983 con la presentazione di Renato Barilli, Maria Di Domenico e Filiberto Menna, tiene una personale alla Galleria Trans/Form di Parigi, e partecipa alla collettiva Pole Position alla Galerie K di Tokyo. Nel 1993 fonda a Paestum il MMMAC Museo dei Materiali Minimi d’Arte Contemporanea. Del 2000 è la mostra personale Interni, presentata da Gillo Dorfles, alla Galeria d'art 33 di Barcellona.
Nel 2004 la Provincia di Salerno, in collaborazione con l’Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo di Cava de’ Tirreni, gli ha dedicato un’ampia antologica, tenutasi al Convento di Santa Maria del Rifugio.
Nel 2006 è tra i finalisti del Premio Artemisia, e l’anno seguente espone presso l’Archivio di Stato del Palazzo del Senato di Milano.
Della sua intensa attività espositiva hanno scritto Giulio Carlo Argan, Renato Barilli, Raffaele D’Andria, Maria Di Domenico, Giorgio Di Genova, Gillo Dorfles, Rino Mele, Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva, Angelo Trimarco.