Brand New Gallery è lieta di presentare dystown, prima personale
italiana dell’artista tedesco Martin Kobe e Black Mass, prima personale
italiana dell’artista canadese Jason Gringler
opening: 26 settembre 2012 | 7 pm - 9 pm | brand new gallery | milano
Martin Kobe. dystownLa mostra raccoglie i frutti degli ultimi due anni di lavoro dell’artista, una produzione caratterizzata dalla meticolosità che lo contraddistingue. Le sue tele catturano e restituiscono le impressioni di un uomo nato durante la Repubblica Democratica Tedesca, che ha avuto modo durante l’infanzia di assistere alla pianificazione socialista urbana e ha fatto dell’architettura un’ossessione feconda. Il lavoro di Martin Kobe è parimente influenzato
dalle immagini della propria collezione di disegni di architettura, dalle fotografie di viaggio e da una miriade di rimandi storico-artistici che vanno da Piranesi alla Bauhaus.
Ne risultano immagini visionarie e senza tempo, in bilico tra realtà e finzione, congelate in una nuova metafisica dove le forme architettoniche si limitano appena a suggerire le fonti, sussurrando un’ambientazione o un edificio senza lasciarne un senso di riconoscimento definibile. L’implosione dei molteplici punti di fuga apre un labirinto di facciate sospese e di travi convergenti, che si intersecano attirando lo spettatore in un flusso di spazio per cui anche i vuoti vengono letti come pura superficie. Questo processo di idealizzazione dell’architettura culmina nel colore, che ne aumenta l’artificiosità suggerendo piani levigati, interrotti talvolta da tracce di disegno e tratti gestuali attraverso cui la vernice viene raschiata fino alla tela nuda per permettere allo spettatore di scivolare e cadere nelle aree irrisolte. I colori, stridenti anche quando lasciano emergere le forme in trasparenza, e la luce netta che irradia le superfici, servono all’artista per creare una frattura strutturale che rompa la lettura letterale dello spazio pittorico, così da dare vita ad un’utopia distorta, in cui l’architettura più razionale viene fagocitata da un dipinto espressionista ed astratto, creando una tensione tra il tecnico e l’organico, tra spazio fisico ed emozionale.
Martin Kobe nasce a Dresda nel 1973 e consegue i suoi studi artistici a Lipsia, dove attualmente vive e lavora. Nel 2000 si diploma presso l’Academy of Visual Arts di Lipsia, dove è allievo di Arno Rink, con cui tre anni più tardi ottiene il Master in pittura. Dopo aver perseguito riconoscimenti come lo Special Award durante la VI edizione del Kunstpreis der Leipziger e una borsa di studio presso la Karl Schmidt-Rottluff, il suo lavoro è stato esposto in gallerie di fama internazionale come la White Cube di Londra, ed incluso in importanti collezioni e mostre museali, in Europa e negli Stati Uniti, tra cui la mostra itinerante Life After Death: New Leipzig Paintings from the Rubell Family Collection. Nel 2005 è stato invitato a partecipare alla II Prague Biennale, mentre nel 2011 il suo lavoro è stato selezionato da Barry Schwabsky per essere incluso nel volume Vitamin P2: New Perspectives in Paintings.
Ne risultano immagini visionarie e senza tempo, in bilico tra realtà e finzione, congelate in una nuova metafisica dove le forme architettoniche si limitano appena a suggerire le fonti, sussurrando un’ambientazione o un edificio senza lasciarne un senso di riconoscimento definibile. L’implosione dei molteplici punti di fuga apre un labirinto di facciate sospese e di travi convergenti, che si intersecano attirando lo spettatore in un flusso di spazio per cui anche i vuoti vengono letti come pura superficie. Questo processo di idealizzazione dell’architettura culmina nel colore, che ne aumenta l’artificiosità suggerendo piani levigati, interrotti talvolta da tracce di disegno e tratti gestuali attraverso cui la vernice viene raschiata fino alla tela nuda per permettere allo spettatore di scivolare e cadere nelle aree irrisolte. I colori, stridenti anche quando lasciano emergere le forme in trasparenza, e la luce netta che irradia le superfici, servono all’artista per creare una frattura strutturale che rompa la lettura letterale dello spazio pittorico, così da dare vita ad un’utopia distorta, in cui l’architettura più razionale viene fagocitata da un dipinto espressionista ed astratto, creando una tensione tra il tecnico e l’organico, tra spazio fisico ed emozionale.
Martin Kobe nasce a Dresda nel 1973 e consegue i suoi studi artistici a Lipsia, dove attualmente vive e lavora. Nel 2000 si diploma presso l’Academy of Visual Arts di Lipsia, dove è allievo di Arno Rink, con cui tre anni più tardi ottiene il Master in pittura. Dopo aver perseguito riconoscimenti come lo Special Award durante la VI edizione del Kunstpreis der Leipziger e una borsa di studio presso la Karl Schmidt-Rottluff, il suo lavoro è stato esposto in gallerie di fama internazionale come la White Cube di Londra, ed incluso in importanti collezioni e mostre museali, in Europa e negli Stati Uniti, tra cui la mostra itinerante Life After Death: New Leipzig Paintings from the Rubell Family Collection. Nel 2005 è stato invitato a partecipare alla II Prague Biennale, mentre nel 2011 il suo lavoro è stato selezionato da Barry Schwabsky per essere incluso nel volume Vitamin P2: New Perspectives in Paintings.
Jason Gringler. Black MassLa mostra, ideata appositamente per gli spazi della galleria milanese, si compone di una monumentale installazione site-specific da parete, Untitled (Biography/Second Version), che
si configura in una griglia di specchi frammentati che costituiscono
alternanze geometriche continue di positivo e negativo. Si tratta di un
lavoro intimidatorio in cui lo spettatore, riflettendosi, diviene parte di una struttura convulsa e multidirezionale che si scompone, fratturandosi in immagini piene che si rincorrono
interponendo un vuoto oscuro, in una costruzione che prende in prestito il lessico dall’architettura e si perde in un affascinante gioco di minuzie e sottigliezze, risultando al contempo greve e dinamica.
Lo specchio agisce come una finestra di accesso nel lavoro di Gringler, il quale distilla il paesaggio urbano che circonda il suo studio di Brooklyn, condensandone il rumore visivo delle aree industriali.
Nata dall’osservazione ossessiva della ripetizione delle forme moderne e banali che si susseguono nella civiltà industrializzata occidentale, la mostra è stata inizialmente concepita basandosi su questa piattaforma di monotonia. I volumi vengono però spezzati da un solido monolite nero, un’imponente forma scultorea primaria che inibisce l’accesso agli spazi della galleria. Quest’opera si configura, grazie alla sua posizione, in una sorta di ready made che consente di contribuire all’organizzazione del caos, mentre le opere dell’artista nell’ambiente circostante rivelano la propria presenza fisica e solenne.
I materiali industriali come il Plexiglas, lo specchio, l’acrilico e la vernice spray vengono sezionati e sovrapposti per restituire, attraverso riflessi di luce e astrazioni, una profondità inquietante su di un piano bidimensionale in cui la riorganizzazione delle linee comprime lo spazio e crea nuove prospettive sull’ambiente metropolitano.
Anche la tavolozza limitata, con lampi sporadici di colori artificiosi, fa riferimento al grigiore della fabbrica e alla sfocatura della vita urbana. Gringler prende in prestito un’estetica astratta e minimalista per contribuire ad una narrazione che si manifesta velatamente attraverso continui rimandi simbolici e iconografici. Le croci determinate dalle giunture dei telai e le X incastonate nelle composizioni vorticose dichiarano il desiderio dell’artista di sfidare il tradizionale accesso alle opere dipinte, rimandando ad un linguaggio primordiale e intimando l’arresto.
Il lavoro di Gringler ruota intorno ad un’estetica della violenza, esternata nella fisicità dei processi di distruzione, decostruzione e riorganizzazione della composizione, in un ciclo di auto cannibalizzazione continua che fa si che ogni opera sia sempre generata dall’analisi e la rielaborazione del lavoro precedente.
Jason Gringler nasce a Toronto nel 1978. Nel 2001 consegue con lode la laurea presso l’Ontario College of Art and Design. Dopo aver ottenuto diversi riconoscimenti in ambito artistico, il suo lavoro è stato esposto in numerose mostre personali e collettive ed è presente presso importanti collezioni private in Europa, Canada e stati Uniti. Attualmente vive e lavora tra New York e Toronto.
Lo specchio agisce come una finestra di accesso nel lavoro di Gringler, il quale distilla il paesaggio urbano che circonda il suo studio di Brooklyn, condensandone il rumore visivo delle aree industriali.
Nata dall’osservazione ossessiva della ripetizione delle forme moderne e banali che si susseguono nella civiltà industrializzata occidentale, la mostra è stata inizialmente concepita basandosi su questa piattaforma di monotonia. I volumi vengono però spezzati da un solido monolite nero, un’imponente forma scultorea primaria che inibisce l’accesso agli spazi della galleria. Quest’opera si configura, grazie alla sua posizione, in una sorta di ready made che consente di contribuire all’organizzazione del caos, mentre le opere dell’artista nell’ambiente circostante rivelano la propria presenza fisica e solenne.
I materiali industriali come il Plexiglas, lo specchio, l’acrilico e la vernice spray vengono sezionati e sovrapposti per restituire, attraverso riflessi di luce e astrazioni, una profondità inquietante su di un piano bidimensionale in cui la riorganizzazione delle linee comprime lo spazio e crea nuove prospettive sull’ambiente metropolitano.
Anche la tavolozza limitata, con lampi sporadici di colori artificiosi, fa riferimento al grigiore della fabbrica e alla sfocatura della vita urbana. Gringler prende in prestito un’estetica astratta e minimalista per contribuire ad una narrazione che si manifesta velatamente attraverso continui rimandi simbolici e iconografici. Le croci determinate dalle giunture dei telai e le X incastonate nelle composizioni vorticose dichiarano il desiderio dell’artista di sfidare il tradizionale accesso alle opere dipinte, rimandando ad un linguaggio primordiale e intimando l’arresto.
Il lavoro di Gringler ruota intorno ad un’estetica della violenza, esternata nella fisicità dei processi di distruzione, decostruzione e riorganizzazione della composizione, in un ciclo di auto cannibalizzazione continua che fa si che ogni opera sia sempre generata dall’analisi e la rielaborazione del lavoro precedente.
Jason Gringler nasce a Toronto nel 1978. Nel 2001 consegue con lode la laurea presso l’Ontario College of Art and Design. Dopo aver ottenuto diversi riconoscimenti in ambito artistico, il suo lavoro è stato esposto in numerose mostre personali e collettive ed è presente presso importanti collezioni private in Europa, Canada e stati Uniti. Attualmente vive e lavora tra New York e Toronto.
Martin Kobe. Dystown
Jason Gringler. Black Mass
26 settembre 2012 - 03 novembre 2012
Brand New Gallery
via Farini 32, 20159 Milano
t. +39.02.89.05.30.83
da martedì a sabato: 11.00-13.00|14.30-19.00
info@brandnew-gallery.com
www.brandnew-gallery.com
Ufficio stampa Lucia Crespi
via Francesco Brioschi 21, 20136 Milano
t. +39.02 89415532 - 02 89401645
lucia@luciacrespi.it
Immagini:Martin Kobe, Untitled, 2011, Acrilico su tela cm. 70x90. Courtesy dell’artista e Brand New Gallery, Milano
Jason Gringler, Black Mass/Second Version, 2012, Acrilico, plexiglass, vernice spray, collage, specchi rotticm. 157.5x127. Courtesy dell’artista e Brand New Gallery, Milano
Jason Gringler, Untitled (Black), 2012, Acrilico, plexiglass, vernice spray, collage, specchi rotticm. 137.2x122. Courtesy dell’artista e Brand New Gallery, Milano
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