La pittura come analisi, come controllo delle proprie emozioni, come indagine della realtà, sia reale che mentale. Questi sono i punti di riferimento del lavoro lento ma sistematico, intimo ma nello stesso tempo arcano, antico e moderno insieme, delle tele, delle tavole o dei disegni di Giulio Camagni.
Silenziosa nella sua magica visionarietà, la costruzione dei suoi ‘paesaggi’, mentali o concreti, si sviluppa sulla superficie secondo un ritmo e una struttura quasi codificati, che divide orizzontalmente lo spazio della composizione. La pittura come materia, indagata, compulsivamente esplorata, ma anche pittura come ricerca di una pratica linguistica, indica la scelta di appartenenza, quasi un codice genetico, nel quale si riconoscono le matrici dell’‘informale’, o della ‘metafisica’ monocromatica degli anni Cinquanta.
L’uso di una cromia che prevede tutte le declinazioni del grigio fino al nero, rispecchia un carattere saturnino, dove l’ombra, la notte, il baratro dell’inconoscibile si propone come un elemento centrale nell’ossessiva ripetizione formale del tema.
Ma quale può essere l’origine metaforica di tanta angosciosa assenza di luce? Non è difficile pensare al buco dell’ozono, all’effetto serra, allo scioglimento dei ghiacciai, alla desertificazione, ai dissesti idrogeologici e all’innalzamento del livello dei mari. Uno scenario impressionante per il nuovo millennio. D’altra parte il mondo è sempre più piccolo, più veloce, più ricco, più industrializzato, più confortevole e contemporaneamente, come se questo fosse l’inevitabile prezzo da pagare, più inquinato.
Probabile che questi paesaggi privi di presenze umane, privi anche di scenari urbani, privi di qualsivoglia simbolo, se non quello dell’orizzonte, siano il quieto e angosciato atto d’accusa nei confronti di una evoluzione involutiva, con il quale si tenta attraverso un ordine apparente che si manifesta nella immobilità sospesa e quasi magica di queste linee orizzontali, di ridare un motivo di ideale utopia, quasi una memoria sedimentata negli strati monocromatici di materia.
Città, mare, cielo, terra, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande che si scontrano, e si incontrano in una dialettica di emozioni, di silenzi, di memoria, carichi di una materialità magmatica nella quale le suggestioni si manifestano e si consolidano. Un terreno dove la visione meditativa di Camagni si concretizza attraverso la sintesi di ‘linea e superficie’ nei ritmi più immanenti della metafora del nostro contemporaneo.
Silenziosa nella sua magica visionarietà, la costruzione dei suoi ‘paesaggi’, mentali o concreti, si sviluppa sulla superficie secondo un ritmo e una struttura quasi codificati, che divide orizzontalmente lo spazio della composizione. La pittura come materia, indagata, compulsivamente esplorata, ma anche pittura come ricerca di una pratica linguistica, indica la scelta di appartenenza, quasi un codice genetico, nel quale si riconoscono le matrici dell’‘informale’, o della ‘metafisica’ monocromatica degli anni Cinquanta.
L’uso di una cromia che prevede tutte le declinazioni del grigio fino al nero, rispecchia un carattere saturnino, dove l’ombra, la notte, il baratro dell’inconoscibile si propone come un elemento centrale nell’ossessiva ripetizione formale del tema.
Ma quale può essere l’origine metaforica di tanta angosciosa assenza di luce? Non è difficile pensare al buco dell’ozono, all’effetto serra, allo scioglimento dei ghiacciai, alla desertificazione, ai dissesti idrogeologici e all’innalzamento del livello dei mari. Uno scenario impressionante per il nuovo millennio. D’altra parte il mondo è sempre più piccolo, più veloce, più ricco, più industrializzato, più confortevole e contemporaneamente, come se questo fosse l’inevitabile prezzo da pagare, più inquinato.
Probabile che questi paesaggi privi di presenze umane, privi anche di scenari urbani, privi di qualsivoglia simbolo, se non quello dell’orizzonte, siano il quieto e angosciato atto d’accusa nei confronti di una evoluzione involutiva, con il quale si tenta attraverso un ordine apparente che si manifesta nella immobilità sospesa e quasi magica di queste linee orizzontali, di ridare un motivo di ideale utopia, quasi una memoria sedimentata negli strati monocromatici di materia.
Città, mare, cielo, terra, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande che si scontrano, e si incontrano in una dialettica di emozioni, di silenzi, di memoria, carichi di una materialità magmatica nella quale le suggestioni si manifestano e si consolidano. Un terreno dove la visione meditativa di Camagni si concretizza attraverso la sintesi di ‘linea e superficie’ nei ritmi più immanenti della metafora del nostro contemporaneo.
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