Avigliana (TO) - dal 20 novembre al 19 dicembre 2010
Giorgio Flis - Dalla figurazione all'informale
Giorgio Flis - Dalla figurazione all'informale
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Dopo quattro anni il Maestro giavenese ritorna ad esporre i suoi dipinti ad Avigliana. | |
orario: venerdì, sabato e domenica ore 15-19 (possono variare, verificare sempre via telefono) | |
biglietti: free admittance | |
vernissage: 20 novembre 2010. ore 16.00 | |
curatori: Luigi Castagna, Paolo Nesta | |
autori: Giorgio Flis | |
patrocini: Comune di Avigliana | |
genere: arte contemporanea, personale “Che cos’è una vita raccontata, una bio-grafia? È la scelta, tra i fatti e gli innumerevoli avvenimenti che l’hanno caratterizzata, di alcuni episodi che formano un racconto .. Una volta trasformata in parole, questa esistenza cessa di appartenere a un essere in carne ed ossa e si avvicina a quella di un personaggio letterario; gli individui menzionati dallo storico sono paragonabili agli eroi di un romanzo. È questo che autorizza la nostra intrusione nell’intimità degli individui: parliamo di nomi scritti su un foglio”. Tzvetan Todorov, La bellezza salverà il mondo, Garzanti, Milano 2010. La scelta voluta da Giorgio Flis - e assolutamente condivisa da me e da Luigi Castagna – di esporre nei nostri spazi e in quelli contigui, messici a disposizione per l’occasione dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Avigliana, una doppia selezione di sue opere, degli anni Settanta e Ottanta e dal 2005 ad oggi, deve essere colta come un evento assoluto. Infatti, in questo modo “Le Stanze dell’Arte”, come ha voluto intitolare Giorgio Barberis un suo recentissimo saggio sul nostro Maestro, si svelano più apertamente, o quanto meno dischiudono all’indagine storico-artistica altri percorsi, altrettanto indispensabili per accostarci ancora più da vicino e con maggiore consapevolezza allo straordinario fascino creativo della pittura di Giorgio Flis. Che in tutta la sua ricerca recente – dell’ultimo decennio, almeno – ogni suo dipinto, per quanto compiuto nella pienezza di quel singolo atto di esplorazione dell’estremo, celasse (e continui a celare) l’intima e inesauribile aspirazione a rinnovare la tensione verso l’assoluto, si doveva dare quasi per scontato. Rimaneva insoluta (e comunque tale resterà in grandissima parte, di fronte ad ogni pretesa di logica chiarificazione) la domanda sul significato di quel suo vissuto, capace di condensarsi come una illuminazione folgorante in ogni quadro e nello stesso tempo di animare in chi lo osserva la volontà di compiere una navigazione, una scorribanda fluttuante, composta nel suo percorso da inesauribili scoperte visive ed emozionali. L’intensità del vissuto equivaleva certo al lavorio della memoria, per lo meno quello innescato nell’osservatore, ma che insieme pareva indurre ad una segreta sintonia con l’intimo fare dell’artista. Ora, la scelta di Flis di aprire “Le Stanze” di uno dei primi capitoli della sua pluridecennale vicenda artistica – in parte già raramente socchiuse ad altri spettatori in alcune lontane esposizioni tra il 1977 e i primi anni Novanta – ci autorizza ad intrometterci e ad esaminare “senza pudore” qualcuno dei suoi segreti. In realtà, in questo mio ruolo di mediatore culturale qualche cosa mi era già noto da alcuni anni, soprattutto quando tra il 2005 e il 2008, insieme a Giorgio lavorammo alla ricomposizione del catalogo delle opere, ancora reperibili in Italia, del suo maestro Giulio Cesare Gennai. Gennai dal 1953 aveva preso a risiedere permanentemente a Montmartre - e qui era conosciuto come “César Gennay” - dove presto aveva cominciato a frequentare l’ultimo grande esponente dell’Ecole de Paris, Gen (Eugène) Paul, di cui era divenuto allievo preferito. Ora, così formalmente autorizzato da Flis, mi sento più libero di agire, ma nello stesso tempo vincolato al dovere morale e intellettuale di provare a fornire una ulteriore chiave di lettura delle sue opere, a partire dagli esordi, o quasi. Niente di più e senza alcuna pretesa di illusorie scoperte o aspettative di effetti sorprendenti. Di ritorno in Italia, a Giaveno, intorno al 1968-9, Gennai porta con sé da Parigi un bagaglio di esperienze artistiche di prim’ordine, che riversa senza limiti e preclusioni di sorta sul giovane allievo. Se ripercorriamo le pagine del catalogo delle opere di Gennai e lo confrontiamo con la piccola selezione di opere di Flis, qui proposta e datata per la maggior parte delle tele entro gli anni Settanta, possiamo essere superficialmente sopraffatti dalla contiguità o, se vogliamo addirittura dalla coincidenza tematica dei soggetti: suonatori di strumenti musicali, ritratti, nudi e maternità, paesaggi. Gennai, anche attraverso la sua collezione di opere - riportate da Parigi e putroppo in gran parte perdute nell’incendio della sua casa-studio nel 1978, alla Sala di Giaveno – non poteva che quasi assediare, sommergere con la sua personalità il giovane Giorgio, sotto la pressione della massa dei suoi modelli, del suo straordinario mestiere, delle sue memorie e del suo insormontabile patrimonio culturale, che gli derivava dalla conoscenza personale, tramite Gen Paul, di Braque, Picasso e dell’intero mondo artistico di Montmartre. Per chi, come Giorgio, aveva iniziato a dipingere “realisticamente” fin dal 1963, il confronto con la sintetica tecnica pittorica di Gennai doveva costituire, già di per sé, una occasione stupefacente di apprendimento. A sua volta la scuola di Gennai si proponeva come valida mediatrice della fulminante abilità visionaria di Gen Paul, tesa ad afferrare l’essenza espressiva, l’istante più intensamente comunicativo, colto nel fluire continuo dell’esperienza percettiva, inesorabilmente dinamica, della realtà in cui siamo immersi. Il giovane Flis veniva perciò messo di fronte alla necessità di porre immediatamente in secondo piano, anzi, di rinunciare al valore “realistico” dei tradizionali soggetti pittorici, fino a quel momento prediletti. La scioccante lezione di Gennai e, accanto a lui, direttamente e indirettamente, degli ultimi esiti dell’Ecole de Paris e della ricerca figurativa montmartriana viene allora prontamente assimilata dall’allievo, che apprende a elaborare con assoluta libertà compositiva e di tecnica pittorica i modelli figurativi – il “paesaggio”, il “ritratto”, la “natura morta”, la “figura” – ampiamente codificati dalla tradizione figurativa otto-novecentesca e continuamente riplasmati e trasformati dai maestri e dai movimenti artistici della prima metà del XX secolo, fino a consumarne le ultime sopravvivenze “realistiche”. E con la conquista di questo passaggio – di fronte al quale invece Gennai si ferma, purtroppo trattenuto nei possibili sviluppi da drammatici eventi esistenziali – Giorgio Flis è ormai pronto a confrontarsi con le diverse suggestioni e prospettive d’indagine, offerte dalla lezione dell’informale. (Estratto dalla monografia dedicata a Giorgio Flis, in preparazione) Paolo Nesta |
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