lunedì 30 gennaio 2012

Il nudo nell'Arte - David Hamilton


“Cacciatore dì sogni, l’uomo dagli occhi chiari insegue farfalle adolescenti con ali tenui, appena uscite dalla crisalide. Con delicatezza, per non sciuparle, le imprigiona immediatamente in una grande casa perduta, la sua casa, dove le osserva a lungo… Il fantomatico cacciatore di camera in camera, silenzioso come le sue farfalle.
È alla ricerca di qui cosa, di cui ignora completamente la natura. Spinge, dolcemente, il battente di una porta. Si ferma. Osserva e, finalmente, vede. Il suo nome è David Hamilton…”.
Con queste parole, undici anni fa, Alain Robbe-Grillet presentava il primo volume di David Hamilton “Reves de Jeunes Filles” (Sogni di fanciulle).
È l’inizio di una straordinaria carriera e, al tempo stesso, culmine di una ricerca d oltre dieci anni, ricerca di una realtà diversa, indefinibile cui erano con tutte le caratteristiche che, ancora oggi, fanno di David Hamilton qualcosa di più di un fotografo, di un personaggio alla moda, di un maestro dell’erotismo tenero.
Lo scatto iniziale si verificò nel 1969, quando la rivista testimoniò, nelle sue pagine, un incontro fondamentale: quello dell’uomo con la poesia. L’incontro cioè di David Hamilton con la canzone di Léonard Cohen, Suzanne, che lo colpì profondamente e intensamente, consentendo esprimere pienamente il suo talento artistico.
Le immagini di Suzanne, pubblicate da “Twen” nel 1969, racchiudevano per la prima volta tutte le qualità che, nel loro armonico complesso, costituiscono la sua peculiare sensibilità artistica: la luce sfumata e incerta del crepuscolo, la penombra segreta dei tendaggi socchiusi, l’intimità, il riserbo, il pudore e, in apparente contrasto, l’abbandono totale, senza riserve, della modella rivelarono al pubblico il giardino segreto di David Hamilton.
Giardino rimasto, poi, sostanzialmente inalterato nel tempo, ma incessantemente arricchito a ogni incontro con una donna-fiore, o con una sfumatura un armonico accostamento di colori in grado di affascinarlo. Dopo l’esordio su “Twen”, Hamilton è divenuto un personaggio pubblico: in una decina di opere ha dischiuso il suo giardino magico allo sguardo di artisti, critici, dilettanti e appassionati che ne sono rimasti immediatamente affascinati. E l’incanto continua, perché nell’arco degli anni, in ogni sua opera, Hamilton non ha rivelato che un angolo del giardino. Non perché l’artista abbia deliberatamente voluto celarne alcune zone, ma semplicemente perché non gli è ancora venuta l’idea di esplorarle.
David Hamilton in realtà è un figlio del suo tempo, che vive intensamente e che approfitta senza falsi pudori della fama e della gloria per viaggiare, per raggiungere il sole che ama profondamente, per esplorare il mondo alla ricerca di nuove modelle e fonti di ispirazione, per vivere una vita da divo. Egli sfrutta il suo talento senza problemi, ma sempre in senso positivo, senza mai fare concessioni o cercare facili consensi. Ha sempre saputo rifiutare le occasioni che non trovavano rispondenza nella sua sensibilità artistica. Non è mai caduto, per esempio, nell’erotismo banale e di facile effetto che gli proponevano coloro che non lo avevano evidentemente capito. E poiché il fulcro della sua ossessione artistica, della sua sensibilità è sempre la fanciulla, nel momento in cui si apre ancora inconsapevole alla sua vita di donna, David Hamilton ama troppo intensamente questa sua fonte d’ispirazione per non circondarla di una purezza, di un’essenzialità, fino a dare quasi l’impressione di voler cancellare il suo intervento di artista; e queste caratteristiche sono costanti e si ripropongono con evidenza in tutte le sue opere.
Il primo libro, “Réves de Jeunes Filles” consacrò la sua fama dopo il successo di Twen. Diede la prima occasione di penetrare nel giardino segreto, compiendo una scoperta, in qualche modo ambigua. Erotismo o ambiguità compiaciuta? Questo è il primo dubbio che l’opera di Hamilton suscita, dubbio che non sarà mai risolto e lascerà intatta l’ambiguità sottile delle visioni del fotografo “sonnambulo errante in lande sconosciute, alla ricerca della casa perduta”, come scrive Robbe Grillet. A quel tempo, colpiti dalla bellezza e dalla straordinaria intensità dell’espressione, alcuni pensarono che Hamilton sarebbe inevitabilmente rimasto prigioniero e vittima della sua stessa originalità e non sarebbe mai riuscito a rinnovarsi e a evolversi.
Nessun segno premonitore sembrava predestinare al successoDavid Hamilton, nato a Londra il 15 aprile 1933: i suoi genitori non avevano alcun legame con il mondo dell’arte ed egli stesso, nel corso degli studi, non si sentì mai attratto né dalla pittura, né dalla musica né, tanto meno, dalla fotografia.
Unici indizi della sua sensibilità furono gli studi di architettura seguiti “senza particolare successo” - come egli stesso ammette - un gusto spiccato per la decorazione e l’arredamento e, soprattutto, un carattere assolutamente indipendente, anticonformista, che fu alla base della sua giovinezza instabile, durante la quale tentò almeno duemila diverse professioni.
La prima tappa importante della sua vita fu il trasferimento a Parigi, nel 1957, all’età di 24 anni. Si dedicò, a quell’epoca, alla decorazione di negozi, introducendosi nel mondo della moda e della pubblicità e diventando, nel 1959, uno dei due direttori artistici della rivista Elle.
Come egli stesso racconta, imparò per la prima volta, in tale occasione, una vera professione, assimilando in una settimana la tecnica dell’impaginazione: assorbiva e tratteneva “come una spugna” ogni nozione che suscitasse il suo interesse.
In capo a un anno, però, tornò a Londra, dove divenne direttore artistico della rivistaQueen. In tale veste visse intensamente questa sua prima fase di creatività. In un giorno del 1962, il suo assistente Max Maxell gli suggerì di acquistare un apparecchio fotografico, una Minolta con obiettivo di 50 mm.
A quell’epoca la scelta della fotografia, come professione e come mezzo espressivo, era ancora lontana. Hamilton tornò in Francia nel 1963 e divenne consulente artistico della catena di magazzini Printemps, mansione che svolse per cinque anni. Proprio in questo periodo i suoi contatti cori il mondo della fotografia divennero più frequenti.
Il primo lavoro, in qualità di fotografo di moda, gli fu commissionato dalla rivista Elle: una ventina di pagine di presentazione, in occasione dell’apertura del villaggio del Club Méditerranée di Agadir, in Marocco.
L’anticonformismo del suo carattere e l’esigenza di assoluta autonomia lo costrinsero ad abbandonare l’incarico ai grandi magazzini: la qualità del suo lavoro era infatti riconosciuta e apprezzata, ma gli si rimproverava un’eccessiva disinvoltura e la sua spiccata predilezione per il sole e per la sua casa di Ramatuelle, che aveva da poco acquistata. Ma proprio questo amore per la sua casa in Provenza favorì la sua decisione di dedicarsi completamente e unicamente alla fotografia.
Ormai libero da qualsiasi impegno che lo costringesse a Parigi, egli trascorreva la maggior parte del suo tempo a Ramatuelle dove, nel 1967, fotografò per la prima volta una delle sue fanciulle. Le sue fotografie furono pubblicate da Jasmin e, poi, da Twen, in Germania.
L’incontro con Willy Fleckhaus, direttore di questa rivista, si rivelò fondamentale per l’evoluzione della sua carriera. “Per lui ho pubblicato le mie prime vere fotografie” racconta oggi (*) Hamilton rievocando il 1969, l’anno in cui creò le immagini che illustrano Suzanne, la canzone di Cohen.
(* l’intervista è degli anni ‘80)
Proprio a quell’epoca egli è divenuto il David Hamilton oggi famoso in tutto il mondo. Celebre, completamente indipendente, egli trascorre la sua esistenza in alcuni luoghi privilegiati che ama e che stimolano la sua creatività: Francia, Stati Uniti e il resto del mondo, che egli scopre con amore, compiendo lunghi viaggi.
Nonostante la sua intensa attività (dieci libri pubblicati, quattro album, tre film e cinque cortometraggi, mostre e pubblicità) egli riesce infatti a viaggiare instancabilmente per tutto il
pianeta. Nel 1981, come negli anni precedenti, ha inaugurato personalmente almeno dodici importanti mostre dedicate alla sua opera, in Giappone, in Italia, in Germania e negli Stati Uniti.
Una vita da divo che egli ama intensamente, anche se lo costringe, almeno in parte, a rinunciare ai suoi rifugi prediletti: la casa di Ramatuelle, l’atmosfera di New York, la dolcezza dei Tropici e gli inverni a Palm Beach, in Florida.





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