Varese - dal 09/04/2012 al 21/04/2012
MUSEO BAROFFIO E DEL SANTUARIO DEL SACRO MONTE
Piazzetta Del Monastero+39 0332212042
sito web
info@museobaroffio.it
Un titolo semplice ma nello stesso tempo ricco di significato, scelto dalle artiste per comunicare che in questa esposizione c’è proprio l’essenza della loro arte cioè l’espressione di sé, dei loro pensieri, del loro vissuto, delle loro speranze.
ESSENZE, questo il titolo della mostra di Elisabetta Pieroni e Debora Germanò
che verrà presentata lunedì 9 aprile al Sacro Monte di Varese presso la chiesa sconsacrata dell’Annunciata.
Un titolo semplice ma nello stesso tempo ricco di significato, scelto dalle artiste per comunicare che in questa esposizione c’è proprio l’essenza della loro arte cioè l’espressione di sé, dei loro pensieri, del loro vissuto, delle loro speranze. Una ricerca insomma che viene portata alla luce attraverso due tecniche completamente diverse, la scultura per Elisabetta e la pittura per Debora, ma con immagini spesso ricorrenti.
Ad esempio in entrambe vi è il rifiuto della linea netta e rigida per dare spazio a forme più sinuose e arrotondate come si vede nei nudi e nelle composizioni astratte di Debora e negli alberi di Elisabetta che spesso si aprono in ampie fronde dai rami flessuosi e dalle radici forti e robuste.
L’albero di Elisabetta è solitamente quello d’ulivo, simbolo di una spiritualità che l’uomo cerca lungo il cammino della sua vita e che solo con l’esperienza di tutti i giorni, passo dopo passo, riesce a trovare. Elisabetta interpreta questo tema in chiave cristiana, utilizzando spesso un archetipo antico, il cerchio, come simbolo di un tempo infinito e di una Perfezione universale che solo Dio può avere e può donare all’uomo avvolgendolo e proteggendolo in un abbraccio confortante e assoluto.
Ma il cerchio ricorre anche in alcuni nudi di Debora, questa volta come simbolo del creato, elemento con cui l’uomo, nella filosofia buddista, è in piena comunione.
Emblematica, in questo senso, è l’opera Firmamento, in cui la donna rappresenta non solo Debora, ma anche tutti noi, di fronte a quel cosmo infinito da cui siamo nati, di cui facciamo parte e nel quale, secondo i buddisti, continueremo a riciclarci fino al raggiungimento del nirvana.
La figura femminile dipinta da Debora e modellata da Elisabetta è un altro elemento che ricorre nelle opere in mostra, ma, mentre per Elisabetta in Cronos o in Enydros è la personificazione della natura, per Debora in Donne in giardino, Sguardo, Pensieri, Vita-passione-mondo, è la rappresentazione di se stessa, della propria storia, delle varie fasi di vita che ha attraversato.
É insomma l’arte di Debora sicuramente più autobiografica rispetto a quella di Elisabetta che vuole invece esprimere dei valori universali di fede, proiettando nelle immagini e nei simboli la visione di un domani più chiaro e positivo.
Questa fondamentale differenza è ciò che distingue le due artiste e che rende assolutamente interessante e curiosa questa mostra che presenta opere strutturalmente differenti, con immagini più volte reiterate, seppur interpretate diversamente, in relazione al pensiero e alle esperienze di vita di ciascuna.
Al di là dei significati simbolici, l’esposizione di Debora ed Elisabetta può essere letta anche in chiave tecnica, come l’evoluzione di due artiste autodidatte che negli anni sono cresciute sperimentando nuove modalità di rappresentazione artistica.
Ad esempio Elisabetta negli ultimi suoi lavori si cimenta in sculture polimateriche aggiungendo alla ceramica altri materiali come specchi, ferro, rame, ottone. L’Enydros in mostra ne è una dimostrazione, poiché i frammenti di specchio in cui il visitatore può riflettere la propria immagine sono aggiunti a coronamento della scultura e diventando un modo molto concreto e immediato per farci entrare nel quadro.
Debora invece, pur rimanendo nell’ambito della pittura, in alcune opere unisce l’olio all’acrilico e con lo stesso acrilico crea effetti di colore lucido in rilievo sulla tela.
In entrambe comunque c’è la voglia di aggiungere al proprio stile elementi di originalità non casuali, ma volti ad impreziosire quei dettagli dell’opera che possano costituire per lo spettatore lo spunto visivo di una riflessione estetica e simbolica.
che verrà presentata lunedì 9 aprile al Sacro Monte di Varese presso la chiesa sconsacrata dell’Annunciata.
Un titolo semplice ma nello stesso tempo ricco di significato, scelto dalle artiste per comunicare che in questa esposizione c’è proprio l’essenza della loro arte cioè l’espressione di sé, dei loro pensieri, del loro vissuto, delle loro speranze. Una ricerca insomma che viene portata alla luce attraverso due tecniche completamente diverse, la scultura per Elisabetta e la pittura per Debora, ma con immagini spesso ricorrenti.
Ad esempio in entrambe vi è il rifiuto della linea netta e rigida per dare spazio a forme più sinuose e arrotondate come si vede nei nudi e nelle composizioni astratte di Debora e negli alberi di Elisabetta che spesso si aprono in ampie fronde dai rami flessuosi e dalle radici forti e robuste.
L’albero di Elisabetta è solitamente quello d’ulivo, simbolo di una spiritualità che l’uomo cerca lungo il cammino della sua vita e che solo con l’esperienza di tutti i giorni, passo dopo passo, riesce a trovare. Elisabetta interpreta questo tema in chiave cristiana, utilizzando spesso un archetipo antico, il cerchio, come simbolo di un tempo infinito e di una Perfezione universale che solo Dio può avere e può donare all’uomo avvolgendolo e proteggendolo in un abbraccio confortante e assoluto.
Ma il cerchio ricorre anche in alcuni nudi di Debora, questa volta come simbolo del creato, elemento con cui l’uomo, nella filosofia buddista, è in piena comunione.
Emblematica, in questo senso, è l’opera Firmamento, in cui la donna rappresenta non solo Debora, ma anche tutti noi, di fronte a quel cosmo infinito da cui siamo nati, di cui facciamo parte e nel quale, secondo i buddisti, continueremo a riciclarci fino al raggiungimento del nirvana.
La figura femminile dipinta da Debora e modellata da Elisabetta è un altro elemento che ricorre nelle opere in mostra, ma, mentre per Elisabetta in Cronos o in Enydros è la personificazione della natura, per Debora in Donne in giardino, Sguardo, Pensieri, Vita-passione-mondo, è la rappresentazione di se stessa, della propria storia, delle varie fasi di vita che ha attraversato.
É insomma l’arte di Debora sicuramente più autobiografica rispetto a quella di Elisabetta che vuole invece esprimere dei valori universali di fede, proiettando nelle immagini e nei simboli la visione di un domani più chiaro e positivo.
Questa fondamentale differenza è ciò che distingue le due artiste e che rende assolutamente interessante e curiosa questa mostra che presenta opere strutturalmente differenti, con immagini più volte reiterate, seppur interpretate diversamente, in relazione al pensiero e alle esperienze di vita di ciascuna.
Al di là dei significati simbolici, l’esposizione di Debora ed Elisabetta può essere letta anche in chiave tecnica, come l’evoluzione di due artiste autodidatte che negli anni sono cresciute sperimentando nuove modalità di rappresentazione artistica.
Ad esempio Elisabetta negli ultimi suoi lavori si cimenta in sculture polimateriche aggiungendo alla ceramica altri materiali come specchi, ferro, rame, ottone. L’Enydros in mostra ne è una dimostrazione, poiché i frammenti di specchio in cui il visitatore può riflettere la propria immagine sono aggiunti a coronamento della scultura e diventando un modo molto concreto e immediato per farci entrare nel quadro.
Debora invece, pur rimanendo nell’ambito della pittura, in alcune opere unisce l’olio all’acrilico e con lo stesso acrilico crea effetti di colore lucido in rilievo sulla tela.
In entrambe comunque c’è la voglia di aggiungere al proprio stile elementi di originalità non casuali, ma volti ad impreziosire quei dettagli dell’opera che possano costituire per lo spettatore lo spunto visivo di una riflessione estetica e simbolica.
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