genere: arte contemporanea, personale
comunicato stampa |
| Nel colore e nella materia l’intima immagine poetica
Quella di Silvana Lunetta è una emancipazione estetica raggiunta attraverso un lungo studio dell’arte del Novecento, arrivando a risultati che a loro volta conducono a un linguaggio espressivo intimamente nuovo, quale metafora di una ricerca esistenziale, osteggiando lo svilimento e il decomporsi della realtà contemporanea. Anziché l’immagine figurativa ecco allora l’astrazione lirica, la forza ideativa di una situazione culturale che vede la migrazione dell’arte verso diversità di definizioni come nella stagione dell’Action Painting, su tracce a volte enigmatiche, con pennellate cariche di colore, talora essiccato e poi frammentato, in grado di evocare pulsioni non già incontrollabili che danno la stura a un’altra rappresentazione autonoma seppur riconducibile all’informale materico. Le opere di Lunetta segnano l’utopia di un ritorno a un’arte impegnata nella realtà sociale, valore che si esaurisce se non è in grado di compromettersi e raccontare quell’idealismo di credere che l’arte possa servire a cambiarla per costruire un mondo in rapporto all’uomo e la sua terra, qui intesa come luogo universale. E lo fa con il rigore della materia, applicando sulle tele strati spessi e rugosi di colore, colpi di spatola mescolati ad altri materiali, come carte, stoffe, sabbie, foglie o pezzi di juta, quasi a cercare il senso del vivere, disincantata dall’espressionismo astratto che non sia ricerca di fisicità, di spazio-tempo nelle pieghe materiche e pittoriche, come realtà indipendente essa stessa. Perché dalla sua assolata terra siciliana, Silvana Lunetta, ha guardato a Rauschenberg e Jasper Johns, a Pollock, dunque, ma nelle sue opere su tela, come nei collage o nelle sculture raku, riesce ad esprimere una soggettività che propone i valori dell’italianità degradati nelle corporeità utilizzate, in una valenza semiologica dalle potenzialità evocative di esperienze che descrivono in pieno la sua personalità: razionalità ed istinto. La sua è una sperimentazione continua, usa materiali eterogenei, poveri, di recupero, organici ed artificiali, e intraprende una sua strada in rapporto all’arte, mantenendo come unico riferimento la materia perché è essa stessa immagine, non provocatoria per attirare attenzione, ma materia-forma, inestricabile dicotomia che ha influenzato molti grandi artisti e filosofi, da Platone in poi. Da Jean Fautrier, con il discorso tra pittura e scultura, a Dubuffet, Tápies e Burri. E se Fautrier incide la superficie materica e Burri assembla sulla tela segmenti di vera materia e null’altro; e se Tápies sovrappone incrostazioni di colore misto a materiali terrosi e sabbiosi, intervenendo con graffiti e simboli, ecco che Silvana Lunetta sceglie la duttilità e la versatilità della creatività ad integrare l’utilizzo di olio e acrilico, come mezzo per esprimersi in modo personale creando un effetto simile a paesaggi oltre muri scrostati, in tele gravide di altro, come anche di stracci che evocano la semplicità di un’armonia dall’atmosfera adrenalinica e di colori ridotti anch’essi a semplice sostanza materica. E se prima Parigi e poi New York hanno prodotto una evoluzione dell’arte moderna, oggi la nostra artista nissena è specchio di un villaggio globale che, dopo l’esperienza informale e quella dell’espressionismo astratto, caratterizza un cantico all’indefinito, percepisce l’astrattismo delle idee di una società ormai da emendare, ne esplora le caratteristiche visive e tattili, rifiuta ogni concetto di forma, cerca di slegarsi dal senso impoltronito dell’annodare ricordi, delle ombre, e si nutre non di effetti materici ma di poetica imboccata dalla materia, di significante estetico. I suoi lavori si presentano come un intreccio dell’essere e dell’agire e incontrano l’inconscio che è in noi - in quell’art informel definita dal critico francese Tapié - e costituiscono quasi delle performance in cui il risultato è fissato su una tela che ne diviene palcoscenico in una rappresentazione che ci fa quasi vedere l’artista all’opera. Sono magma informe di energie primordiali, in un neospazialismo che suscita una visione di superfici sovrapposte che si perdono nella profondità percettibile non concettuale, nel tagliare, ferire la materia, frantumarla o tenerla insieme con un filo in cui è evidente la componente dell’io che s’identifica nel pragmatismo della sopravvivenza. E poi la babele, la confusione, a prima vista il disordine … l’esplosione della materia e del colore che sostituiscono l’estensione temporale per diffondere la conclusione di un ciclo intellettuale cui si affianca il desiderio di un futuro ancora tutto da costruire, coscienza libera da un mondo in crisi, rifugio e non fuga in paesaggi dell’informale dove l’esistente è l’inesistente e dove l’artista testimonia la disillusione dell’uomo nuovamente emarginato. L’autenticità di Silvana Lunetta è tutta qui, nel dare forma all’informe, nella lotta con la materia viva e pulsante, nella furiosa legittimazione del connubio tra meditazione e speranza di riscatto e il coinvolgimento totale di corpo e spirito smembrati da slanci espressivi che tentano di dare un senso alla vita, a situazioni di confronto lacerate da rassegnazioni nichiliste, di visioni misticheggianti caratterizzate da bordi sfrangiati e vibranti in un diverso stato di immaterialità. La sua è una denuncia gestuale che rimanda paradossalmente al neoplasticismo di Mondrian, nelle forme mutuate dalla natura, nel suo vissuto che è poesia attraverso l’organizzazione di uno spazio sulla tela, come interazione negli anfratti del pensiero, come nelle evanescenze di Rothko, quando prendiamo un pugno di terra e la sentiamo fluire tra le dita o la conserviamo come memoria di un luogo: gioia e felicità, amarezza e nostalgia, perché la terra è madre, da essa veniamo e ad essa torneremo.
Andrea Barretta
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