Galleria Errepi Arte - Mantova Sabato 6 aprile 2013 ore 17.00 Vanni Viviani “Labirinti di desideri”
Il mondo a forma di mela di Vanni Viviani (1937-2002), indimenticabile artista mantovano di vocazione cosmopolita, arriva come un frutto pieno di sapori negli spazi della Galleria Errepi Arte di Mantova. La mostra “Labirinti di desideri” raccoglierà una ventina di dipinti e sarà inaugurata sabato 6 aprile 2013 alle ore 17.00 negli spazi di via Accademia 17. La presentazione critica in occasione del vernissage sarà curata dalla critica d’arte Paola Artoni, autrice anche del testo, pubblicato nel catalogo edito per l’occasione da Publi Paolini, nel quale, tra l’altro, si osserva che “le mele di Viviani sono un frutto proibito che si libra come un’anima lieve sul peso del mondo, si sollevano dalla realtà e la trasfigurano nella dimensione del sogno e del simbolo. Sono corpi leggeri, sensuali e pieni di vita, armonie rotonde di volumi che volteggiano con grazia, si perdono per poi ritrovarsi nei labirinti della mente. Un mondo a forma di mela quello di Viviani che è, al tempo stesso, fuori dal tempo e sempre attuale”.
Vanni Viviani nasce nel 1937 a S. Giacomo delle Segnate (Mn), si trasferisce giovanissimo a Bolzano dove inizia l’attività artistica, improntata inizialmente sulla figurazione pittorica e scultorea. Nel 1963 vive e opera a Parma, partecipando attivamente alle avanguardie emiliano-lombarde, ove si segnala tra i giovani protagonisti di Corrente sul simbolo per la sua inconfondibile personalità, il soggiorno parmense si identifica nel ciclo di opere realizzate con spighe di grano applicate, rappresentanti in emblema, l’affollata umanità. Negli anni ‘70 si trasferisce in via Brera a Milano, capitale dell’arte europea ed è nell’ambito milanese che avverte il bisogno di passare dalla collettività delle spighe all’individualità della “Mela”, simbolo allusivo ed erotico, frutto delle religioni, delle favole, della scienza e degli eroi, evocante con la sua capacità descrittiva e citazionista importanti momenti del passato, dal Pomo d’oro di Paride alla religiosità di Piero della Francesca, alla catarsi dell’Ultima Cena Leonardesca per finire col surrealismo magrittiano con la mela simbolo di vita, di sensualità, luogo delle idee, con un’ineguagliabile capacità di rappresentare la storia e i sentimenti dell’uomo attraverso questa metafora. La critica lo segue con crescente interesse nella sua parabola creativa: Luigi Carluccio, scriveva: “Viviani, un caso della pittura italiana contemporanea”; Mario De Micheli: “Viviani, prodigioso giardiniere di un incorrotto pomario”; Renzo Margonari: “Viviani, non dipinge mele ma nudi umani”. Nei primi anni ‘70 l’artista, su invito della scrittrice ed amica Milena Milani, inaugura uno studio estivo nell’Eden privato di Villa Faraggiana ad Albissola (Sv) dove per vent’anni opera nel campo della ceramica artistica, realizzando moltissime opere uniche. Nel 1975 porta a compimento “Monumentalmente Vostro”, la grande opera che trova accomunati 49 tra gli artisti più significativi dell’area lombarda. Nel 1983 realizza il “Convito di Pietra” citando in dieci grandi opere l’Ultima Cena di Leonardo, l’alto profilo artistico dell’opera viene proposto per rappresentare l’arte italiana a Melbourne in Australia. Iniziano poi i frequenti viaggi in Sud America, dove conosce Oscar Niemeyer, il grande architetto recentemente scomparso, inventore di Brasilia, diventano amici, le pomacee curve trovano corrispondenza fra le ali architettoniche di una Brasilia metafisica, “Arquiteturas de Leonardo a Niemayer” è la grande mostra-omaggio all’amico, ospitata al Museo D’Arte Contemporanea di San Paolo. Viviani nel 1988 a sorpresa lascia il vecchio quartiere bohèmien di Brera a Milano, ritorna al paese e alle proprie origini virgiliane, inventa Ca di Pom, addensa di significati la sua opera, concretizza il suo universo alla conquista della sua più intima identità. Nel 1995 Alitalia per L’Arte nell’ambito di far conoscere le più significative espressioni dell’arte contemporanea italiana, lo invita nei propri spazi presso l’aeroporto J.F. Kennedy di New York a presentare una selezione antologica della sua opera, “The Big Apple” è il titolo emblematico della vicenda artistica del maestro italiano. Nel 1998 “Pisaneide” in 15 grandi opere l’artista interpreta una rovinosa caduta della storica Torre in Piazza dei Miracoli a Pisa, come a rappresentare nella sua provocazione sibillina, l’ipotesi di una caduta degli ideali che solo gli strumenti dell’amore possono evitarci. Nel 2001 lo Young Museum di Revere (Mn) dedica al maestro la personale “Geometrie del Seme” con opere realizzate a cavallo del terzo millennio. Nel 2002 Viviani realizza il suo sogno, donando Ca di Pom alla Fondazione Banca Agricola Mantovana per farne un Centro Culturale e Museo Vanni Viviani, aperto a tutte le istanze dell’arte, promuovendo in particolare l’attività dei giovani. L’ultima grande esposizione antologica “Pom Aria” alle Fruttiere di Palazzo Te a Mantova (aprile-giugno 2002) sintetizza la sua vita artistica, dalle spighe alle mele per concludersi con grandi sculture in lamina di ferro svuotate, che evidenziano nella negatività della rappresentazione, “l’Anima” dei suoi personaggi da Adamo a Dafne agli Angeli Totemici.
Vanni Viviani “Labirinti di desideri” Galleria Errepi Arte Mantova – via Accademia, 17 Inaugurazione sabato 6 aprile 2013 ore 17.00 Presentazione critica a cura di Paola Artoni Catalogo edito da Publi Paolini.
La mostra alla Galleria Errepi Arte proseguirà sino al 5 Maggio 2013 www.errepiarte.com Apertura al pubblico: - dal martedì al venerdì dalle ore 10.00 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 19.30 - sabato e domenica dalle ore 10.00 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 20.00 - e su appuntamento: cel. 347-2638068 Per informazioni: tel. 0376-366027, Fax 0376-310998, info@errepiarte.com
* I labirinti di desideri di Vanni Viviani Paola Artoni Zeus non potrebbe sciogliere le reti / di pietra che mi stringono. / Ho scordato gli uomini che fui; / seguo l’odiato sentiero di monotone pareti / ch’è il mio destino. / Dritte gallerie / che si incurvano in circoli segreti, / passati che sian gli anni. / Parapetti in cui l’uso dei giorni ha aperto crepe. / Nella pallida polvere decifro / orme temute. / L’aria m’ha recato / nei concavi crepuscoli un bramito / o l’eco d’un bramito desolato. / Nell’ombra un Altro so, di cui la sorte / è stancare le lunghe solitudini / che intessono e disfanno questo Ade / e bramare il mio sangue, la mia morte. / Ci cerchiamo l’un l’altro. / Fosse almeno questo / l’ultimo giorno dell’attesa. (J.L. Borges, Il labirinto)
Lo sguardo è come un filo d’Arianna sulla tela, si muove, si sofferma, resta dubbioso e poi riparte, accompagnato nel suo tragitto dalle forme rotonde e piene delle mele rosse e verdi. Vanni Viviani ci ha già in pugno e ormai siamo completamente immersi nel gioco che sopravvive nel tempo, oltre la distanza segnata dalla sua scomparsa. La mela, protagonista indiscussa del lavoro di Viviani sin dagli Settanta del Novecento, subentra nella poetica dell’artista come un elemento di individualità dopo gli anni dell’esperienza collettiva e corale delle spighe di grano, cresce non nella campagna d’origine ma nel cuore pulsante di una Milano brulicante di idee. La mela è il frutto evocativo per eccellenza: è la tentazione del serpente offerta ad Adamo ed Eva nell’Eden, è il pomo d’oro della mitologia greca (premio che il giudizio di Paride assegnerà a Venere, ritenuta la dea più bella, e che sarà la causa scatenante della guerra di Troia, nell’eterna lotta tra amore e morte), è il frutto avvelenato dall’invidia feroce della strega di Biancaneve, è la prova di fermezza e di coraggio di Guglielmo Tell, è il segnale della gravita terrestre che, cadendo, risveglia il genio di Newton. In pittura è un soggetto che ha attraversato tutte le epoche passando, ad esempio, dalle rappresentazioni di Gesù bambino che riceve la mela dalla Vergine, nuova Eva, e che riscatta l’umanità dal peccato originale, alle composizioni antropomorfe di Arcimboldi, dalle nature morte ai festoni segno di vita, giungendo sino alle visioni pop di Andy Warhol. E in chiave pop va senz’altro letto il linguaggio di Viviani: intellettuale raffinato eppure immediatamente comprensibile a un vasto pubblico e non è certo un caso che, nel 1995, egli abbia presentato per conto di Alitalia, il ciclo The Big Apple nell’aeroporto “J.F. Kennedy” di New York, la Grande Mela per eccellenza. Il linguaggio mela-fisico era del resto già diventato un passepartout anche per l’Australia, dove nel 1983 le dieci grandi tele che Viviani aveva dedicato all’Ultima Cena di Leonardo avevano rappresentato l’arte italiana di eccellenza, tra il peso della grande tradizione e il desiderio di una consapevole e necessaria leggerezza. Le mele di Vanni Viviani sono così: un frutto proibito che si libra come un’anima lieve sul peso del mondo, si sollevano dalla realtà e la trasfigurano nella dimensione del sogno e del simbolo. Sono corpi leggeri, sensuali e pieni di vita, armonie rotonde di volumi che volteggiano con grazia, si perdono per poi ritrovarsi nei labirinti della mente. Un mondo a forma di mela quello di Viviani che è, al tempo stesso, fuori dal tempo e sempre attuale. Nella visionaria produzione di Viviani l’universo in forma di mela affronta il labirinto, luogo dei tortuosi andamenti della psiche: è il territorio nel quale ci si può perdere e ritrovare, e in primis mettersi alla prova alla ricerca di se stessi e degli altri in una dimensione di giocosa fantasia. Al tempo stesso il labirinto è la metafora dell’esistenza, delle vicende alterne del cammino, è un dedalo che rimanda ai pavimenti delle cattedrali gotiche, rappresentazioni del complesso errare dell’uomo verso Dio e della faticosa tensione del pellegrino. Vengono alla mente le pagine di Jorge Luis Borges, autore che Viviani, grande appassionato del continente sudamericano, deve sicuramente avere amato. È proprio tra le pieghe degli scritti dello scrittore argentino dove il labirinto è l’immagine che evoca ora il mistero della creazione dell’universo ora la descrizione del cosmo, ma è anche la rappresentazione dell’intelletto e degli intrecci, non sempre positivi, messi in opera dagli esseri umani. Emblematica è la definizione che compare ne La casa di Asterione, dove si afferma che tutte le parti del labirinto «si ripetono, qualunque luogo di esso è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne. Il labirinto è grande come il mondo». La dimensione dell’architettura del cosmo deve essere stata ben presente a Viviani che, non va dimenticato, aveva un sodalizio speciale con il Sudamerica e, in particolare, con Oscar Niemeyer, il grandissimo architetto inventore di Brasilia, con il quale condivideva una comune visione metafisica della spazialità. La metafisica abita nei labirinti di Viviani, con un classicismo inestinguibile del segno, non permette ad alcun minotauro di entrare, è piuttosto un filo di Arianna che si muove tra architetture impossibili alla Escher (ma con un inedito ventaglio cromatico) e spazi silenziosi memoria dell’opera di De Chirico. Da autentico cantore delle architetture dipinte Viviani non ha mai temuto il confronto con la spazialità e l’aerea visione di un mondo onirico che, per molti versi, ricorda lo sguardo disincantato, ironico e intelligente di Magritte e, al tempo stesso, si è dimostrato fedele interprete di una pittura pienamente consapevole della propria dimensione etica, unico rimedio alla malinconia di fondo degli animi più delicati. Se dovessimo cercare uno sguardo simile a quello di Viviani lo potremmo trovare lontano nel tempo, nell’epica di Ariosto (non a caso ricca di riferimenti ai labirinti), in quello stesso sapore del viaggio tra parchi incantati, selve da sogno e giardini cintati nei quali emergono pomi lussureggianti e contorti alberi dalle chiome raggomitolate. Un peregrinare tra caos e ordine che caratterizza il nostro microcosmo, a sua volta riflesso minore e spesso indecifrabile del macrocosmo che impaurisce e affascina al tempo stesso.
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