Oltre trenta dipinti per ricordare, a diciassette anni dalla scomparsa, la figura di Italo Turri, autore tra i più originali del panorama artistico della terra di Ciociaria. Ordinata da Anna Turri e presentata in catalogo dalla Professoressa Maria Teresa Valeri, la mostra, che accoglie oltremodo preziosi inediti, permette una lettura davvero compiuta e rigorosa dell’intero percorso artistico di Turri pittore, nella sua Anagni. Ospitata nello Storico Convitto “Principe di Piemonte”, sarà inaugurata il 22 Dicembre 2012, alle ore 17.00.
CONVITTO PRINCIPE DI PIEMONTE Viale G. Matteotti 1 Anagni (FR) 22 Dicembre – 13 Gennaio 2013 Tutti i giorni 10.00 - 13.00 / 16.00 - 20.00 Ingresso Libero
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Italo Turri, in arte detto “Monzon” (Anagni, 1926-1995), è uno straordinario pittore anagnino, che ha lasciato nei suoi dipinti e collage, realizzati con deciso segno espressionista, la semplice e vigorosa denuncia contro il male del secolo XX: l’emarginazione e il tragico disagio dell’uomo, schiacciato dalle leggi dell’egoismo e dell’“apparire”. Esse sono una potente denuncia della logica disumana della società consumistica e materialista. Italo Turri, nelle sue opere, è testimone di sé, lancia il suo messaggio con il linguaggio arcano e universale dell’arte, ci pone direttamente in contatto soprattutto con l’uomo-Turri, che emerge a tutto tondo con la sua profonda aspirazione alla semplicità, alla verità dei rapporti umani, al rispetto della dignità della persona, al canto delle piccole cose che fanno bella la vita. Italo Turri - Monzon, con stile espressionista, a volte informale, ci rivela opere che sono autentici brani di poesia, stimolo vivace alla riscoperta del valore e della dignità dell’uomo. L’opera del Pittore anagnino non può passare inosservata. Sin dalla prima vista la sua pittura cattura l’attenzione del riguardante: si presenta inizialmente con la dolcezza sommessa di una nenia familiare e poi si impone come sinfonia di colore e suoni; ti giunge dritta al cuore con il suo linguaggio semplice e vero; ti parla nel profondo dell’anima, quasi come creatura vivente; ti commuove nell’intimo, tanto è intrisa di dolore e tenace attaccamento alla vita. Non è facile sottrarsi al dialogo che l’Autore intavola con l’osservatore.
Linee biografiche
La formazione culturale ed artistica del Pittore (Anagni, 1926 - 1995) è legata alle esperienze dell’infanzia e agli studi professionali dell’adolescenza. Figlio di calzolaio, è abituato sin da piccolo ad osservare il lavoro artigianale del padre, quotidianamente intento a modellare pelle e cuoio, semplici materiali organici, per ottenere calzature utili per le necessità dell’uomo. Terminati gli studi primari, Italo Turri si iscrive all’Istituto d’Arte di Anagni, sezione di “Ebanisteria”, che termina nel 1940. La scuola d’arte rinforza le attitudini di Turri e acuisce la sua attenzione ai materiali naturali, che, “manipolati” dall’artigiano-artista, raggiungono nuova forma e nuovo valore, acquistano significato estetico e comunicano bellezza. Diciassettenne, Italo Turri partecipa alla formazione partigiana “Anagni” come “partigiano di gregario” e, arruolatosi nell’esercito, si congeda il 22 novembre 1948. Trova lavoro nella sua città come netturbino e si sposa nel 1950. Due figlie nascono dal suo matrimonio, che finisce nel 1955 in seguito alla decisione fondamentale della vita dell’Artista: rinunciare al mondo per iniziare una nuova vita in opposizione alle regole; vivere “ai margini” del mondo per assicurarsi l’osservatorio privilegiato per la ricerca del senso recondito delle cose e per cogliere la verità, nascosta dal velo dell’apparenza. La sua spiccata sensibilità, già forse traumatizzata dalle esperienze tragiche della guerra, deve aver ricevuto un’insanabile ferita dalla repentina trasformazione culturale degli anni successivi al dopoguerra, quando la società agricolo-pastorale del territorio, fondata sulla logica di una vita semplice legata ai bisogni primari della sussistenza, fondata sui valori riconosciuti nelle piccole cose della vita quotidiana quali la solidarietà e lo spirito di abnegazione, il lavoro e la sobrietà, cede improvvisamente il posto all’economia del “consumo”, catapultata nella provincia di Frosinone in seguito agli sviluppi della produzione industriale, che segnerà il boom economico degli anni ‘60 del XX secolo con il conseguente sovvertimento dei tradizionali valori e sistemi di vita. Turri diventa un ribelle e, nel contempo, un reietto. Si allontana dalla società che gli appare un inferno: per le convenzioni mascherate di perbenismo, che vìolano la dignità personale dell’uomo e soffocano la sua libertà. Inconsciamente l’Artista esprime una visione hobbesiana della vita, in cui vale l’amara definizione homo homini lupus. Sicuro di non avere altra scelta, abbandona la Famiglia, la convivenza sociale e torna a vivere nella casa paterna, nido protettivo, rifugio dall’ipocrisia imperante che distrugge l’uomo, perché, negandogli il diritto di “parlare”, di essere sé stesso, gli sottrae il diritto esistere.
Note stilistiche
Italo Turri sceglie lo “scandalo della debolezza”, la povertà totale, l’emarginazione da una società matrigna e disumana, che, rifiutando il “diverso”, gli impedisce il dialogo paritario, schietto e autentico. La sua vita diviene “povera” e proprio per il distacco dal peso delle cose diviene “libera”; Turri – Monzon, liberatosi dalla cosalità pesante del reale, facendo ricorso alla sua fantasia, alla sua poesia, alla sua arte, nel suo spirito ritorna in possesso pieno di ogni cosa. Contestualmente l’Artista rifiuta il dialogo convenzionale della parola-abusata della convivenza comune per scegliere il suo linguaggio, quello universale della pittura, quello che non può essere equivocato e che rimane, nel tempo, sempre autentico, vero e liberante. Significativo è il nomignolo che la gente del suo paese gli veste addosso: “Monzon”, famoso pugile, e che Italo Turri accetta. Con questo nuovo nome il nuovo Turri firma le sue opere: egli, così, dimostra di non rinunciare alla lotta, continua a combattere pacificamente con i “suoi pugni”, cioè con le sue mani di artista, dimostrando come le mani dell’uomo riescano a produrre bellezza, manipolando materie apparentemente prive di valore, rinnovando e dando vita alle cose morte, quelle scartate e ritenute inutilizzabili. Da tale concezione del mondo deriva la preferenza per il segno espressionista e la scelta delle tecniche utilizzate con analoghi scopi artistici dalla Pop Art americana e dall’Arte Povera, mediante il recupero dei materiali poveri, preferibilmente quelli di scarto. Italo Turri-“Monzon” usa come supporti alla sua pittura cartone, stoffe, manifesti pubblicitari, impellicciature di compensato, smalti e acrilici, che spesso recupera nelle zone di raccolta cittadina dell’immondizia. “Monzon” realizza in tal modo una vera operazione culturale, riconosce con la sua vita “ai margini” il grande valore oggettivo che ciascuna cosa, sia essa naturale o prodotta dall’uomo, porta in sé e contemporaneamente afferma l’infinito valore della dignità di ogni uomo, ricco o povero, potente o debole, autorevole o ingiustamente senza diritto di parola, di cui l’oggetto di scarto diviene nelle mani dell’Artista poetica metafora. I soggetti di Italo Turri, ripresi dalla vita quotidiana, osservati senza riserve mentali, sono semplici scene di vita di paese, paesaggi, nature morte, personaggi senza espressione che sembrano parlarsi ma non comunicano, città fitte di case senza finestre, riprese di interni domestici, animali, geometrie. In ogni opera si riscontrano pochi colori utilizzati e sempre in accostamento tonale, i rossi, i verdi, i blu, il nero, i grigi, rari tocchi di bianco, il marrone, il beige. La ristretta gamma di colori è forse condizionata dal reperimento spesso occasionale delle tinte utilizzate per dipingere o anche dalla necessità di essenzializzare il linguaggio cromatico, per rendere più efficace la comunicazione degli stati d’animo da trasmettere. La ricostruzione dello spazio, luogo dell’azione dei personaggi, è a volte sacrificata alla resa bidimensionale dei soggetti oppure è raggiunta mediante gli effetti di profondità prospettica ottenuti con la sapiente giustapposizione di gradienti cromatici, con pennellate costruttive decise e materiche, che si scontrano, o con l’uso di impellicciature di compensato, disposte sul supporto in modo da generare ordinate suggestioni di piani e volumi. Il supporto è quasi sempre cartone o cartoncino, materiale di scarto, raccolto con cura tra gli avanzi della opulenta società del benessere economico. Spesso nelle opere di Italo Turri-Monzon lo spazio è assente o alterato prospetticamente, probabilmente a significare una realtà ritenuta fissa, immutabile, colta nella sua tragica e dolorosa portata universale. Tuttavia sempre si coglie nella pittura di Monzon una felice e certamente intenzionale partitura geometrica della struttura compositiva, sovente suggerita anche dalle pieghe dei cartoni utilizzati a supporto della sua pittura. Gli stessi cartoni riciclati divengono valido mezzo espressivo nelle mani di Monzon: grazie alla loro movimentata texture, lasciata visibile dalle pennellate trasparenti, essi ci parlano sommessamente della luce che sfiora le superfici, dà sostanza alle forme, vitalità alla realtà. Come aveva intuito Picasso, anche nell’opera di Monzon l’inserimento di frammenti di cartone, impellicciatura, stracci conferisce valore di concretezza reale al dipinto, che non è più una semplice riproduzione del fenomeno, ma è ricostruzione ed epifania della realtà, che l’artista avverte per via di sentimento e comunica quale sua personale visione del mondo. L’Artista non data i suoi dipinti: ciò che raffigura è la realtà quotidiana, è la storia dell’uomo Italo Turri nel suo quotidiano rapporto con la realtà, fuori da schemi che, incasellando rigidamente l’esistenza, rendono l’uomo prigioniero del passato e delle sue convenzioni oppure schiavo dell’ansia scaturita dalla paura del futuro. Italo Turri-Monzon nella sua disarmante semplicità inconsciamente ricalca il pensiero crociano secondo cui “la storia è il presente”, è l’intervento che l’uomo riesce a compiere con le sue scelte e comportamenti nell’esperienza del vivere, che si attua solo e sempre nel momento presente dell’esistenza di ciascuna persona. Ciò che colpisce dell’opera di Italo Turri è l’Uomo con le sue sofferenze e desideri profondi, il suo desiderio di libertà che coincide con l’aspirazione alla bellezza, il riflesso di un animo bambino, innocente, ferito dal rifiuto, ma privo di risentimento verso chi lo umilia, allontanandolo. In questo paradossalmente l’Uomo-Turri diviene vincente, poiché la sua arte è un nobile richiamo all’uomo del terzo millennio a rispettare i valori fondanti della dignità dell’uomo, profondamente intuiti dalla civiltà greco-latina e faticosamente conquistati nella nostra civiltà durante i due millenni trascorsi dell’era cristiana. (Maria Teresa Valeri)
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