ANDREA SALTINI - L’AMORE INFEDELE a cura di chiara messori 9 febbraio / 20 marzo 2013 dark room silmarartgallery
“Le nostre emozioni ci possono spezzare come se fossimo crackers! L’unica cosa che non mi ha mai tradito nella vita è la pittura.” Andrea Saltini
Con queste parole dell’artista vorrei iniziare questo percorso attraverso e accompagnati dall’opera di Andrea Saltini. Le parole amore e infedele, accostate, sembrano cozzare, ma, in questo caso, non è così... “La pittura è il mio amore, la pittura mi ama ma ha corrotto ogni aspetto della mia esistenza” ci dice l’autore e “con questi presupposti come posso essergli fedele? Occorre un grande sforzo, tutto ciò che si dice di negativo sulla pittura è vero...è anacronistica, fuori moda, decadente ma è anche unica”... Occorre REVISIONE, rivederci come esseri umani, rivederci dentro a questa storia contemporanea che è nuova, prosegue “sobbalzando”, ha abbandonato la sua linearità per confonderci, distrarci dai nostri obiettivi, darci sempre nuovi input. Occorre comprensione, e conoscenza anche; comprensione di sé in rapporto alla percezione soggettiva del mondo esterno; l’individuo può accettare consapevolmente il dramma dell’esserci, nella sua condizione primaria dell’esser-gettati della presenza, e così porsi di fronte alla realtà in modo autentico? Saltini lo fa sembrare possibile... Un heimlich, perturbante, sentimento di attonita inquietudine di fronte al “non familiare”; sono queste le emozioni che provo davanti alla serie del “Teatre du Grand Guignol”. Le figure dipinte sono coloro che l’artista ha scelto come suoi interpreti, ognuno pare ripiegato su se stesso, ma, invece, essi cercano di stare insieme, fanno di tutto per stabilire un contatto...vogliono unirsi per essere più forti mentre si prendono gioco della morte spettacolarizzandola, manipolandola, per avere la sensazione di poterla soggiogare. Incertezza della vita e paura della morte, erano questi i due principali ingredienti patrocinati dalla fervida mente di André de Latour conte de Lorde, drammaturgo del teatro. Egli sfruttava l’incomprensibilità della tenebra, alimentata dal mero simbolismo scaturito dal quotidiano nell’istante in cui si imbatte nell’ignoto e nel mistero. Estremismo ed esasperazione teatrale rappresentavano i tratti salienti di un naturalismo incalzante,caricaturale e narrante le vicende scabrose e disumane di una parodia parigina che prendeva forma e sostanza dai sogni, dalle follie e dalle illusioni dei suoi grandi artefici. Quelli che l’artista rappresenta sono gli “altri-da-sé”,da sempre identificati col ‘nemico’, elementi cioè di destabilizzazione di un ordine pre-costituito e, quindi, antitetici rispetto ad un concetto di gruppalità coesa e interdipendente ma non in questo caso... Per riuscire a vedere realmente questi ritratti bisognerebbe prima di tutto trovare un’indipendenza personale, scegliersi un posto unico e personale nella stanza e da lì guardarle tracciando una “strada” per entrarci dentro, poi considerarne il silenzio, quel mutismo eloquente in cui la pittura diventa veicolo per instaurare una relazione interpersonale, ed infine considerare che queste immagini, pur essendo ritratti di singoli, “funzionano” solo insieme perché è insieme che esse ci parlano ed è insieme che vanno ascoltate.L’artista ci comunica attraverso di loro, le usa come “arma” per esorcizzare la solitudine, la morte e la follia del quotidiano. “Mal d’aurora” (leggendola alla francese), “mal d’horror” o “mal d’amor”? Sono molteplici le interpretazioni che si possono dare alla serie i “Canti di Maldoror” , ispirato dall’omonimo poema del Conte di Lautréamont (Isidore Ducasse), certo è che tutti fanno riferimento alla profonda malvagità del personaggio ed al suo amore apparente del “male”. Il protagonista qui è un adolescente e Saltini non lo sceglie a caso...per lui l’adolescente è la sintesi stessa dell’artista perchè, sostiene, la necessità interiore di essere un artista dipende in tutto e per tutto dal genere e dalla sessualità.L’artista è l’ adolescente per eccellenza, egli non può liberarsi del proprio inconscio ed è costretto a rappresentare il proprio terrore e le proprie debolezze per ricevere gratificazione. Maldoror incarna la rivolta adolescenziale e la vittoria dell’immaginario sul reale. Nei Canti è raccontato un mondo in perpetuo movimento e, leggendolo, si è presi in una sorte di vertigine; la storia e lo stile e certe pagine fanno pensare alle tele più allucinanti di Hieronymus Bosch. Ma la rivolta dell’autore è derisoria, c’è una vena buffonesca che contrasta con il satanismo apparente che attraversa l’opera. Lautremont e Saltini sono entrambi gli adolescenti che si prendono la loro personale rivincita; Il conte se la prende sulla miseria umana del suo secolo, diventando l’eroe di un racconto dove si cancellano le barriere che imprigionano l’uomo; mentre Saltini se la prende trattando le sue paure e riuscendo a sublimarle nell’arte. Entrambi sono accomunati dal gioco che inscenano, una “trama” in cui tutto è permesso: ardente fervore, gioiosa ferocia e metamorfosi. Alla fine quel che conta è l’azione, un’azione che ti fa sentire “Tutti i battiti del mio cuore” come ci dice il tiesto che introduce la terza serie. Questo lavoro scaturisce dal conflitto tra l’individuo isolato e la coscienza comune del gruppo. L’azione è urgente perché l’oggetto è impotente e il soggetto è urgente; deve essere superato il confronto con gli altri, il confronto con se stessi, con i propri limiti e la propria irrilevanza e dev’esser soddisfatta la curiosità di ciascuno perché siamo tutti nel “vortice” degli altri, come scriveva Jean Pierre Vernant, “Tra le rive del Medesimo e dell’Altro, l’uomo, infatti, è un ponte”.
Chiara Messori
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