Con la mostra Momenti pittorici, curata da Giuseppe Bacci in collaborazione con la Fondazione Staurós Italiana Onlus, la sede del Centro d'Arte L'Idioma ospita una ventina di opere realizzate tra il 1996 e il 2012 dal Maestro Gigino Falconi, sulla cui pittura, raffinata e colta, Carlo Chenis così ha scritto: “L’arte di Gigino Falconi si consolida in forme temperate e assolute, cagionando estasi nostalgiche, romantici pensamenti, melanconie amorose. Quanto in icona è elegante e seducente, così da indurre all’epifania ontologica, sia nell’armonia cosmica, sia negli stati esistenziali. Quanto in icona diventa meta-figurazione carica di ridondanze simboliche e di tensioni amorose, così da produrre felicità meste, sia nella rivisitazione onirica della realtà, sia nell’ipostasi reale dell’immaginazione. Si tratta di pittura «metafisica» narrata con fascino erotizzante. Risulta, però, distante dalle presunte poetiche che contrassegnarono i «metafisici» per antonomasia, quali de Chirico, Savinio, Carrà, unitamente ad altri coevi ed epigoni. Si tratta, infatti, di una metafisica che si volge all’esistenziale sublimandolo, non di una metafisica che si chiude nell’essenziale assolutizzandolo. Falconi la illustra con un paradiso contingente che si fa metafora meta-contingente. Siffatta scenografia edenica si presenta con paesaggi ammirabili e con amori purificati. Tali visioni, oniricamente estatiche e mollemente estetiche, riconducono ad un’antropologia esistenzialista attraverso la via dell’annuncio di una dilettevole presenza, e non solo la denuncia di una tragica assenza. L’umano chiede riscatto religioso nel suo cosmo che si fa cifra divina, nel suo intimo che acclara amore benevolente. Il velo di melanconia riporta ai servaggi neoplatonici e alla sofferenza personale, poiché la materia intristisce lo spirito, la contingenza addolora il quotidiano, la finitudine temporalizza l’amore”.
“Non è un tema d’occasione, questo scelto da Gigino Falconi: nel cuore di ogni abruzzese respira la memoria di D’Annunzio. Caso mai, il problema è vedere in che modo l’occasione si sposa con il passato interiore, con quello che l’artista si portava dietro dalla nascita. Quasi si trattasse di riprendere un discorso messo da parte tanto tempo fa e alla fine dimenticato. Qui sta il punto vero: non si può dimenticare, soprattutto quando ciascuno dalla propria parte – l’ispiratore e il traduttore ha lavorato per le stesse intenzioni. Così dal confronto non voluto ma imposto dalla più profonda coscienza salta fuori una risposta che non è mai illustrativa o riassuntiva, ma legata a quanto c’era di più vero nell’ispirazione del Falconi. Potremmo dire che si tratta di un discorso doppio o meglio ancora di un confronto sostenuto fra l’immaginazione di ieri e ormai codificata e l’immaginazione dello spettatore che è stato sollecitato verso questo tipo di ricognizione”. Carlo Bo
“Un erotismo freddo ma non distaccato individua l’opera di Gigino Falconi tanto echeggia quella di un manierista eccentrico o di un raffinato del tardo Cinquecento. L’effetto è quasi sempre quello di un relativo spaesamento rispetto al soggetto raffigurato: in quale situazione ci troviamo? Perché questo paesaggio inusitato, perché questi corpi di adolescenti tesi in abbraccio per impossibili o negate voluttà, perché queste figure solitarie o aggruppate, così pensose nel loro individuale e irredimibile isolamento, quasi oggetti tra gli oggetti anch’essi imprigionati nel loro muto essere, secondo uno scenario che è teatrale, ed al tempo stesso parodizza la vita reale? Il quadro sceneggiato da Gigino Falconi si espone come enigma nella sua elementare, analitica, evidenza. Non risulta tuttavia nessun sentimento di atonìa passionale né tantomeno nell’immagine dipinta si accampa la procedura intellettualistica della citazione colta fine a se stessa”. Duccio Trombadori
“In Falconi, l’appagamento esausto, la dimenticanza di sé, proprie di chi ancora sta uscendo dal sonno o dall’atto d’amore, paiono presto negati da uno spirito melanconico, talvolta tragico, sempre romantico, che s’affida a un paesaggio che, mentre rivela il suo splendore e il suo incanto, inevitabilmente fa pensare al tempo in cui tutto ciò sarà scomparso, inghiottito da una nemesi misteriosa che sentiamo aleggiare. Emblematici di questa malinconia inestirpabile, di questo senso della fine, sono gli alberi di Falconi: i tronchi e i rami sono spogli, come se fossimo dentro un tardo autunno o un inverno perenni, e spesso rimano con gli alberi delle navi; sovente l’artista pare raffigurare piante con un’architettura contorta e tormentata, come il salice piangente con i suoi rami che si fanno fili sottili, avvolgenti e inesorabilmente tesi a terra – immagine intrisa di immaginario romantico, di un senso di resa. Potremmo ricorrere, per definire le opere di Falconi, a una delle espressioni più felicemente poetiche di Edgar Allan Poe: “Un sogno in un sogno”. Sono, le sue figure, anche quando la loro carne ci affascina e accende il nostro desiderio, evanescenti, fantasmi evocati alla vita, ma che presto torneranno a dissolversi. Sentiamo di essere dentro un sogno, una rêverie estenuata o nitidamente spettrale, o presi dentro un ricordo, che, modificato dall’immaginazione, ha abbandonato i territori della realtà per farsi pura fantasia. C’è sempre, in Falconi, l’idea simbolista di una fuga dalla realtà che non può che collocarsi entro i territori della visione, una trasfigurazione del corpo e della natura in ciò che essi potrebbero essere in un tempo altro, verso cui tendono ma che forse mai conseguiranno. Spira, in Falconi, una fortissima tensione al viaggio verso l’ignoto, un desiderio d’altrove che si fa pittura, carne della rappresentazione. Non cela, l’artista, questa pulsione, ma pare volerla consegnare a simboli espliciti”. Sandro Parmiggiani
“Falconi seduce i fruitori raccogliendone l’affanno esistenziale che trova riscatto nella bellezza artistica e poetica, spesso ricercando paesaggi e scenari con fiumi e montagne rocciose non contaminate dalla presenza umana. La natura è adottata quale primo codice simbolico da comprendere e comporre per inneggiare al Creatore. Essa va dunque colta nella sua energia vitale e studiata nelle sue cifre enigmatiche, al fine di indicare il mistero insondabile che la sostiene. La sua natura pittorica parla di Dio; ha sempre accresciuto di sentimento religioso i suoi dipinti. Lo spazio architettonico diviene metafisico come la stessa luce; a volte si percepisce persino il suono, la musica: ciò sta ad indicarci che tutti gli elementi dell’opera di Falconi si fondono in un’unica sonorità perché pensati organicamente e coralmente. Questa esigenza non impone un modello unico, anzi, propone che ogni singolo dettaglio raggiunga la sua unicità, armonicità, essenza in analogia ad un’opera d’arte che per sua natura è originaria e irripetibile. Quello di Falconi è un genere di rappresentazione caratteristico dei surrealisti che dipingevano scene del mondo subconscio dei sogni. Gli oggetti della vita quotidiana vengono raffigurati con fotografica precisione, ma combinati in modo surreale. Di fronte a paesaggi marini, montani o lacustri l’artista colloca, lungo l’ambiguo confine tra sensualità e purezza della forma, figure di giovani donne perlopiù nude, che evocano arcani misteri, operando un distacco dalla realtà attraverso un gioco irreale di luci. L’intento è provocare uno scollamento tra contenuto e contenitore, tra oggetto e nome che lo designa, tale da indurre chi guarda a ritrovare la vera sostanza delle cose che, invece, nella ferialità della vita non riusciamo a cogliere e quindi ci sfugge”. Giuseppe Bacci
Biografia
Gigino Falconi nasce a Giulianova (Teramo) e inizia a dipingere a sedici anni, frequentando contemporaneamente l’Istituto Tecnico per ragionieri, dove si diploma nel 1952. Nel 1954 ottiene la maturità presso il Liceo Artistico di Pescara. L’anno successivo, vincitore di concorso per la Cattedra di Disegno, assume l’incarico della docenza presso una scuola media di Giulianova, attività che abbandona definitivamente nel 1975, per dedicarsi interamente alla pittura. Alla sua prima mostra personale tenuta alla Galleria Il Polittico di Teramo nel 1961, ne sono seguite numerosissime sia in Italia che all’estero, presso accreditate gallerie e prestigiose sedi pubbliche. Le sue opere sono conservate in autorevoli collezioni museali pubbliche e private. Il suo metodo di lavoro si è sviluppato per cicli pittorici così distribuiti nel corso degli anni: 1954-1956: esordisce con un universo figurativo legato ai temi della propria terra, coniugato ai canoni della coeva poetica informale. 1957-1962: esegue una serie di paesaggi che risentono di una personalissima rivisitazione del barocco. 1963-1965: realizza “Documenti”, primo importante ciclo di opere, di grande dimensione, eseguite a tecnica mista, composizioni di pittura e grafica testuale. Negli stessi anni l’artista porta avanti una ricerca sulla surrealtà dello spazio costellato da fantasmi, spesso con elementi suggeriti da letture di Edgar Allan Poe. 1966-1968: “I Mostri”. Viene aiutato in questa analisi da uno studio accurato che va dal Rinascimento al Barocco con particolare attenzione a Piero della Francesca, Caravaggio, Ribera e Rembrandt. 1969-1975: elabora una serie di lavori incentrati sulla surrealtà del presente e della cronaca fotografica, con una figurazione più circostanziata ed evidenza di straniamento. 1976-1979: recupera pienamente la pittura per immagini, con soggetti ispirati all’angoscia dell’esistenza. Di particolare risalto sono due gruppi di quadri suggeriti dal Fascismo e dalla vicenda dei coniugi americani Julius ed Ethel Rosenberg. 1980-1985: lavora intensamente a opere incentrate sulla poetica del mistero degli spazi interni e sulle suggestioni spaesanti degli specchi. È evidente il riferimento ad ambientazioni di gusto Art Nouveau, sempre collocate in un clima di silente sospensione e di attesa. 1986-1988: realizza “Alcyone”, un importante ciclo di dipinti sulla vita e le opere di Gabriele d’Annunzio, eseguite in occasione del cinquantesimo anniversario della morte del Poeta. 1989-1994: dipinge una serie di “nudi” e “concerti silenziosi”, ambientati in paesaggi lacustri. 1995-1999: sviluppa in questi anni un intenso ciclo di pitture di carattere sacro. Il primo dipinto Annunciazione è del 1995. Lo realizza per il VII centenario della Santa Casa di Loreto nel cui museo l’opera viene poi esposta. Successivamente per la chiesa di Sant’Andrea di Pescara lavora per due anni a un trittico di grandi dimensioni (cm 270 x 660), commissionatogli dagli Oblati di Maria Immacolata in occasione della santificazione del loro fondatore Sant’Eugenio de Mazenod. 2000-2002: realizza il ciclo “Le Ossessioni”, interamente dedicato al mistero dell’universo femminile. 2002-2005: dipinge il ciclo “Il mito della Fenice”. 2006-2009: si interessa sempre più alla natura e, attratto dal suo misterioso fascino e dalla sua mistica luce, dipinge un gruppo di quadri rappresentanti paesaggi lacustri e marini. 2011-2012: realizza il ciclo “Ragazze per sempre” ambientate nell’atmosfera romantica parigina di fine Ottocento, dipingendo un ciclo di opere sull’”amore mercenario”come tante scene di un’unica grande pièce esistenziale, una commedia tutta al femminile. Tale ciclo viene presentato inoltre nella Besharat Galerie di Barbizon Parigi e successivamente assieme ad un cospicuo nucleo di opere allestisce la “suite Falconi” (oltre 70 mq).
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